27 Maggio 2000 – L’Era giusta per cambiare

27 Maggio 2000 

Discorso Divino di Bhagavan Sri Sathya Sai Baba

L’era giusta per cambiare

Nel Krita-Yuga meditazione;
nel Treta-Yuga rituali;
nello Dvâpara-Yuga adorazione;
nel Kali-Yuga devozione.

Incarnazioni dell’amore di Dio! Studenti e studentesse! Gli insegnamenti di Manu donano felicità alla mente: (nei suoi antichi scritti, detti Manusmriti, che raccolgono tutta la dottrina riguardante la vita d’ogni giorno), egli afferma che nel Krita Yuga (era in cui la totalità del genere umano era buona) fu adottata la pratica della meditazione. Nel Treta Yuga (in cui la gente era buona per ¾) venivano celebrati rituali e sacrifici. Nello Dvâpara Yuga (la terza era in cui metà della popolazione mondiale era buona) la disciplina principale era l’adorazione. Nel Kali Yuga (ultima ed attuale era, dove solo un quarto della gente è buono) si usa la ripetizione del nome di Dio.

Il Krita Yuga

Al tempo di Manu, cibo e vestiti non avevano subìto gli effetti dell’inquinamento e il comportamento dell’uomo era puro, santo; le sue azioni non si opponevano mai alla verità. Manu aveva individuato e sperimentato il Divino nell’umano e condivise con tutti la sua esperienza. Qui sta tutta la cultura dell’India.

L’ignoranza inibisce il timore del peccato e senza l’amore di Dio si diventa depravati e si perde completamente il senso umano. Ecco la ragione di tanto degrado nel mondo.

I popoli del Krita Yuga vivevano in costante adorazione di Dio, nella contemplazione di Dio, nella meditazione di Dio. In quell’epoca c’era gente che stava immersa nel pensiero di Dio e in meditazione per ore, giorni, mesi e anni, dovunque e in qualunque situazione si trovasse. «Sempre, comunque e dovunque il ricordo del Signore (Hari)»: era il loro insegnamento fondamentale.

In quel tempo non c’era nessuno che avesse desideri squallidi o sentimenti ignobili. La gente aveva pensieri elevati, era beata e intellettualmente matura. Non era dominata da desideri; aveva grano in sovrabbondanza, oltre a comodità e servizi d’ogni genere, ma senza bisogno di desiderarli. Non li andava a cercare: ricchezze, oro, strumenti e mezzi di trasporto erano copiosamente a sua disposizione. Per noi è difficile immaginare una società come quella del Krita Yuga, libera da ogni desiderio.

Se per una vostra ricerca personale risaliste il corso della storia, scoprireste che l’etica, la vita morale e il modo di pensare elevato dei popoli del Krita Yuga sono un riflesso della cultura indiana. Gli uomini di quel tempo seppero riconoscere il principio dell’unità nella diversità e lo vissero nella vita concreta. Non c’era in loro il minimo senso di frustrazione; erano sempre contenti e soddisfatti. Erano molto maturi sia nel pensiero, sia nei sentimenti, e avevano tutto il tempo che volevano per compiere opere buone.

A differenza delle abitudini odierne, non erano condizionati da orari precisi per i pasti, la loro giornata non era scandita da colazione, pranzo, merenda e cena; anzi, non sapevano nemmeno cosa fossero quei momenti. Una volta in piedi al mattino presto, eran soliti prendere dello yogurt con del riso, che costituiva pure la loro cena, prima di coricarsi la sera. Non cucinavano tutte quelle verdure che ci sono oggi sulle tavole. Eppure, erano assai forti e sanissimi. Tutto il loro tempo lo passavano in meditazione. Ma, con il modificarsi delle epoche, quei sacri sentimenti andarono scomparendo.

Il Treta Yuga

Avanzava ormai il Treta Yuga, un’era in cui incominciò a venir meno la devozione e a prender forma la politica. Fu l’era dei re e degli imperi; fu l’epoca in cui divenne chiaro il concetto che «i sudditi hanno il sovrano che si meritano». Da allora si ridusse la pratica della meditazione individuale, solitaria, e s’inco­minciò a dare impulso ai sacrifici e ai riti: i primi, detti yajña, intesi come azioni disinteressate a servizio del prossimo; i secondi, detti yâga, riguardavano il culto divino. La finalità per la quale quei popoli compivano tali rituali era quella di giungere alla liberazione; essi pensavano che quella fosse la strada per arrivare a Dio, credevano di possedere Dio in quel modo. Ciò che volevano, desideravano, bramavano e per cui spasimavano era unicamente il Divino, quantunque non sia quello il modo di raggiungerlo. Tuttavia si affermò il senso della regalità, con i sentimenti nobili che l’accompagnano. Questo produsse dei cambiamenti in quella società.

Lo Dvâpara Yuga

Col passar del tempo, il comportamento dell’uomo incominciò ad assumere un taglio strano e singolare: si affacciava lo Dvâpara Yuga, un’era in cui scomparvero gli usi liturgici e andò affermandosi la disciplina dell’adorazione cultuale. Furono scelti tempi e occasioni particolari per celebrare il culto divino, per fare dei voti e leggere i testi sacri. Crebbe man mano sempre più l’affetto verso i sovrani e il loro governo e ci fu un’epoca in cui gli stati pullulavano di re, regni, zamindar posti a capo di vaste terre, mentre scompariva gradualmente l’uso di celebrare sacrifici e rituali.

Il Kali Yuga

Nell’era attuale, il Kali Yuga, gli uomini non hanno tempo per dedicarsi alla celebrazione di rituali e sacrifici, non si trovano nelle condizioni opportune per fare meditazione; tuttavia, ogni giorno e in ogni istante è loro possibile cantare la gloria di Dio, ripetendone il santo Nome. Si tratta di una pratica facilissima, molto popolare e diffusa, senza limiti di tempo o di luogo, che incominciò ad entrare in uso nello Dvâpara Yuga, e raggiunse l’apice quando giorni, settimane, mesi e anni furono trascorsi nella contemplazione di Dio. Oggi, invece, vi si dedicano tempi limitati, ore o minuti. Da ciò potete arguire quanto siano in decadenza le sacre tradizioni dell’India.

Senso patrio e politica

Nel Treta Yuga, Râma affermò che «la madre e la madrepatria occupano una posizione più elevata del Cielo». Quale altro paradiso volete trovare al di fuori della vostra madrepatria o della persona che vi ha messo al mondo? Chi possiede oggi un siffatto sentimento nazionale? Chi è animato da un tale senso patrio? Nessuno! Qual è la causa di tutto ciò? La responsabilità maggiore è da attribuirsi alla politica, che è un groviglio di trame perverse, manovre, raggiri e pensieri diabolici. Dov’è finito il patriottismo?

Oggi c’è una pletora di politici al governo: ci sarà qualcuno che difenderà il prestigio della nazione? No. I politici si danno un gran da fare per curare i propri interessi personali, pensano solo a sé stessi. Qualora ci fosse un vero politico, lo si dovrebbe distinguere per l’abnegazione e la disponibilità a sacrificar tutto per lo Stato. Ma non esiste nemmeno l’ombra di un simile statista. Il politico gode dei benefici che gli sono conferiti dalla natura, dal potere e dalle risorse del popolo, ma lotta per arrivare a posti autorevoli e vuole il rispetto e la stima che la sua posizione gli consente di avere.

Se non c’è la nazione, come potete aspettarvi che i politici la sostengano? E voi, come potrete essere dei politici, se non avete rispetto per la vostra nazione?

In realtà, quando un uomo vuol essere un capo, deve prima essere un uomo di servizio, e di servizio disinteressato. Potranno mai avere un cuore puro gli uomini che amano il potere? Quando saranno puri di cuore? Figli di Bharat, ascoltate questa verità.

Costoro vogliono avere una posizione di prestigio, non il progresso della nazione, e sono questo loro egoismo e brama di potere che hanno determinato la morte della cultura indiana.

Un milione di cose dette,
nemmeno una fatta.

Mio e tuo

Si parla tanto di cultura dell’India, ma senza conoscere il vero significato di cultura. La gente non è conscia di ciò che sperimenta e diffonde; non crede nello Stato, ma si fida dei politici.

L’altro giorno vi dissi che 1 + 1 = 2 e che 1 – 1 = 0. Ma, se tirate via il + e il – e mettete vicini gli 1, avrete 11. Ecco dunque la formula per migliorare: levare il + e il –, eliminare le maggiorazioni e le differenze. In verità, il benessere della nazione dipende dal progresso della collettività.

Lokâssamastâh sukhino bhavantu: ecco che cosa bisogna augurarsi, che tutti siano felici, che la felicità sia estesa a tutto l’Universo. In politica, però, vige l’idea del “mio” partito e del “tuo” schieramento. Siffatte differenze sono tipiche della ristrettezza mentale. Dovreste invece pensare che tutti ci appartengono, “tutti sono miei”. La nazione si sta deteriorando giorno per giorno a causa di questo egocentrismo. Il giorno in cui avremo sepolto l’egoismo segnerà l’inizio del progresso della nazione.

La gente d’oggi è piena di egoismo ed è arida di sentimenti; come potete aspettarvi di essere un’unica Famiglia Universale? In India vive un miliardo di persone. Come sareste felici, se tutti pensassero di essere un’unica famiglia unita! Provate ad immaginare quanto avanzerebbe il progresso della nazione. Gli uomini d’oggi, invece, i politici attuali provan gusto a fare a fette lo Stato, riducendolo a pezzetti. Quale sarà la loro parte una volta che avranno fatto a pezzi lo Stato? Che cosa vogliono? Tanti ministeri di cui esser ministri. Che significa fare il ministro? Come sembra suggerire la parola, ministro è chi compare per un minuto! Quanto dura, infatti, il suo mandato? Non desiderate quei posti.

Studenti e studentesse, non entrate affatto in politica, ma date il vostro servizio alla nazione (applausi). Pregate per il benessere di tutto il mondo. Non tradite la patria; non frodatela. Vivete uniti. Questo è il vero servizio che potete offrire sin d’ora.

Fratellanza universale

Nutriamo sentimenti di fraternità, nell’idea che siamo tutti fratelli, tutte sorelle. Proprio come ci sentiamo integrati in una famiglia, dovremmo ancor più esserlo nel mondo intero.

Vivekânanda, in una conferenza che tenne a Chicago sull’antica cultura indiana, esordì con l’espressione “Fratelli e sorelle”, suscitando nell’uditorio americano calorosi applausi. Tanta fu l’emozione prodotta da quelle parole, che si tradusse in apprezzamenti e gioiose approvazioni anche per coloro che non conoscevano minimamente la cultura dell’oratore.

Gli Indiani d’oggi si vergognano di rivolgersi a un’assemblea con le parole “Sorelle e fratelli”. Studia quel sapere che porta la pace.

Elimina ogni gretto sentimento e sii fautore
di unità e di collaborazione:
non son forse queste le vere qualità umane?

Cultura è raffinarsi

Dobbiamo condividere con tutti le qualità umane: i valori umani nascono con noi, non si presentano dopo che siamo venuti al mondo. L’uomo e la sua umanità appaiono contemporaneamente. Com’è possibile che oggi abbiate perso di vista una vita così divina, una cultura tanto grande come la nostra? E non è una cultura che appartenga solo agli Indiani: è una cultura destinata a tutti i popoli. Cultura è ciò che affina l’animo umano, e raffinarsi significa rigettare i difetti e accrescere le virtù. Dovreste essere perfetti; nella vostra vita quotidiana non dovrebbe esserci alcuna macchia. Una nazione non è fatta solo di terra, ma anche di esseri umani.

Chi è un essere umano, un mânava? Mânava è colui che è dotato di manas, ossia di mente. E che significa manas? La mente è il mezzo per formulare desideri. Perciò, quando la mente traduce i suoi desideri in buone decisioni, abbiamo un uomo vero. Quell’uomo, dunque, si comporterà come un autentico “essere umano”.

La vera disciplina

Oggigiorno non c’è assolutamente modo di riscontrare buone decisioni, pensieri di verità. Stiamo vivendo in un mare di menzogne e giudizi fallaci; di conseguenza il mondo intero sarà ingannevole. Distruggete, dunque, tutti i vostri difetti! Siate virtuosi ed apritevi alla santità del Divino. Questa è la vera disciplina spirituale.

Che vuol dire sâdhanâ? La conversione del male in bene è sâdhanâ. Ma oggi si fa della sâdhanâ, senza curarsi di ciò. Quale sâdhanâ? Ci si munisce di un japamala come fosse un talismano e poi, ad occhi chiusi, lo si fa scorrere… insieme a una mente che nessuno sa dove stia andando. Non è sâdhanâ questa! La vera disciplina spirituale consiste nello sviluppo di buoni sentimenti, buone idee, buoni pensieri, buone contemplazioni.

Uno studio per moda

Oggi è diffuso l’uso di darsi allo studio; ma che studi si fanno? La scuola odierna è diventata uno scherzo ed è quanto mai ridicola. Ci sono domande e risposte in un medesimo libro, che gli studenti devono leggere; poi, in un esame scritto, devono rispondere alle stesse domande. Che cosa imparano in quel modo? A che servirà? Non adottate quel sistema, divenuto ormai di moda oggi, com’è una moda studiare. Voglion tutti salire sullo stesso bus veloce; ma chi sarà messo in pericolo da un bus in corsa? È così che oggi si vogliono accorciare le distanze per la scuola.

Lo stolto, nonostante tutta la sua istruzione ed intelligenza, non saprà nulla del suo vero sé e l’insensato non avrà estirpato i suoi vizi. La scuola moderna mira soltanto al ragionamento, non alla saggezza. A che serve il sapere del mondo se non è in grado di far acquisire l’immortalità? Assimilate quella conoscenza che vi rendono immortali. Questa è la cultura dell’India.

“E-ducere”

Quell’educazione moderna, che mira solo a riempir la testa di nozioni, non fa per noi. “Educare” (parola latina che viene dall’inten­sivo-durativo e-ducere, “trar fuori”, Ndt) è una funzione del cuore, non del cervello. Se la testa è vuota, la potete riempire con qualsiasi cosa; ma se il cervello è imbottito di nozioni, potrà mai essere libero? E se la testa non è mai libera, aperta, vi potrete mettere dei contenuti spirituali? Perciò, la scuola d’oggi riempie il cervello, mentre l’educazione riguarda il cuore. Le buone idee, i buoni pensieri, la buona condotta, la rettitudine, la giustizia, sono tutti valori che partono dal cuore. Ciò che dobbiamo dunque leggere oggi non sono soltanto le nozioni dei testi, pur essendo anch’essi importanti.

Per la felicità terrena, il sapere profano.
Per la felicità soprannaturale, la conoscenza spirituale.

È ovvio che un titolo di studio servirà a guadagnarsi da vivere, ma non deve servire solo a quello. In verità, dovremmo aver ben chiaro il fine ultimo della vita: l’istruzione è per la vita, non per il vivere. Lavoriamo dunque alacremente per la nostra vita. Il giusto tipo di educazione alla vita consiste nell’avere un buon comportamento. Insieme ad esso ci dev’essere anche lo studio di alcuni libri, dai quali dobbiamo trarre il meglio. Ci sono moltissime persone che scrivono e leggono libri: prendete i loro contenuti migliori.

Non fate scelte in base al ceto, alla razza o all’estrazione sociale; prendete le distanze da qualsiasi discriminazione razziale: l’unica casta è quella dell’umanità; l’unica religione è quella dell’amore; l’unico linguaggio è quello del cuore. Abbiate ben ferme in voi queste tre verità.

Non c’è posto per i Grandi

Non smettete mai, in nessun momento, di pensare a Dio: questo è l’unico sostegno della nostra vita. I grandi saggi, che percorsero il sentiero della verità a costo di qualsiasi umiliazione e sofferenza, superarono tutte le difficoltà aggrappandosi al nome di Dio. Tra di loro molti furono dei sapienti e dotti che camminarono sulla via della verità, senza mai discostarsi da essa. Tali anime nobili non trovano posto nella società; ma, nonostante gli uomini le disconoscano, Dio le benedice. Che gusto c’è a stare in una società che oggi ti dice “sì” e domani “no”? Le vostre bocche, i vostri modi di parlare e insegnare proferiscono dei “sì” e dei “no”, ma per Sai tutto è sempre “Sì, sì, sì”.

Il Divino nell’umano

Dobbiamo applicare ogni sforzo per conoscere la divinità inerente nell’uomo. Non è assolutamente possibile estraniarsene, poiché il Divino è con voi, intorno a voi, sopra di voi, sotto di voi, e vi dà protezione. Questo gli uomini l’hanno dimenticato, bandito come una tradizione vecchia e sorpassata. In realtà, è antica, arcaica, eterna. Non è qualcosa che possa cambiare; è una verità pura, senza macchia, immutabile per il passato, presente e futuro; non cambia col tempo, non potete occultarlo, né eliminarlo. Splende ognora. L’uo­mo ha dimenticato quella vita divina, fresca e sempreverde; così, non sa nemmeno che cosa significhi “essere umano”. “Uma­nità”, in sanscrito manatattva, deriva da Manu, il primo Adamo. Manuja, l’essere umano, vuol dire “colui che è nato (-ja) da Manu”, il quale rappresenta l’autentica forma del Dharma, la Giustizia.

Importanza del dharma

Persino gli avvocati predicano la Giustizia di Manu, ma fanno esattamente il contrario di ciò che insegnano. Vero indiano è quello che segue la retta via, ma a qualsiasi nazione apparteniate, ciò che importa è il dharma. Ognuno deve attenersi al proprio dharma, al codice etico. Lasciamo pure che i problemi si accavallino per ostacolarci la strada: resistiamo e andiamo avanti.

Rispetto per i genitori

Studenti e studentesse, la prima e principale cosa che va insegnata, propagata e messa in pratica è la rieducazione del comportamento. Rispettate i vostri genitori, nella consapevolezza che la madre è Dio, il padre è Dio. Matru devo bhava, Pitru devo bhava. Se non fosse per loro, esistereste voi?

Oggi manca il rispetto dei genitori, ma è un grosso sbaglio, poiché se non avete rispetto per i genitori, a vostra volta anche voi non sarete rispettati dai figli. Nella vita è impossibile sottrarsi a reazioni, riflessi e risonanze. E allora dovete fare in modo di vedere il bene, fare il bene, udire il bene ed essere buoni. Non c’è assolutamente motivo di aver paura. I timori assalgono coloro che sono in errore; ma, se voi seguite il sentiero della Verità, non c’è ragione alcuna di temere.

Oggi s’inseguono politiche folli e la gente stessa impazzisce. Meglio sarebbe dare il benservito ai politici! Non abbiamo bisogno di loro, bensì di una condotta buona, di una vita veritiera.

L’educazione genera umiltà

Mi rattrista non poco vedere il comportamento delle persone colte che hanno raggiunto titoli di studio di altissimo livello, ma hanno un carattere ostico. Ciò è in palese contraddizione con i propositi dell’educazione, la cui principale caratteristica è l’umiltà. Ditemi un po’, a che serve avere tanta istruzione se manca l’umiltà. Nell’antico concetto di educazione si poneva il massimo accento sull’umiltà e l’obbedienza. In effetti, in qual modo potrebbe servirci una cultura che fosse arrogante e ribelle? Non si potrebbe proprio chiamare educazione! L’umiltà è di capitale importanza; ed essa non è altro che pazienza, kshamâ.

L’altro giorno vi dissi che la pazienza è verità, giustizia, Veda, non violenza; insomma, è tutto ciò che più importa al mondo. Fu grazie alla pazienza che Vishvâmitra poté diventare un râja yogî, un contemplativo. Poi, più tardi, divenne un brahma yogî. E Bhagîratha, per la sua ascesi, fatta di sottomissione e sopportazione, riuscì a far scendere sulla Terra il Gange (per adempiere al voto degli antenati, allo scopo di liberarli dall’inferno purificando le loro ceneri, Ndt). Il re Janaka, che fu un karma yogî, cioè un uomo d’azione, poté diventare uno jñâna yogî, un saggio, grazie alla forza di sopportazione. Perciò, con la pazienza, potete qualsiasi cosa.

Tribolazioni, siate le benvenute!

Studenti, voi non lo sapete, ma in Swami la pazienza è infinita e attraversa il Suo corpo dalla cima dei capelli sino alla punta dei piedi: Egli non fa caso alle varie seccature ed accoglie in pace qualunque cosa Gli capiti. Io do sempre il Mio benvenuto alle difficoltà, perché è questo il modo di acquisire la forza di sopportazione. Voi dite di essere dei devoti, ma, in realtà, vi esaltate nella gioia e vi abbattete nei momenti delle prove. In entrambe le circostanze dobbiamo essere equanimi, tanto nella gioia quanto nel dolore e dobbiamo saper coglierne l’essenza, il Divino puro, che trascende ogni cosa.

Quindi, gli studenti acquisiscano questa nobile virtù di kshamâ, la pazienza, la tolleranza, il perdono. I vostri esami possono andar bene o dar risultati scadenti. Non abbiate paura; insistete nella vostra determinazione e i buoni risultati si vedranno. Non datevi pena per i voti, ma fate attenzione a non prendere delle note, a non attirarvi un giudizio negativo. Badate a non commettere azioni cattive ed irradiate buoni sentimenti e buoni pensieri. Dovunque i nostri studenti si trovino, la gente dovrebbe poter dire osservandoli: «Ecco, questi sono gli studenti degli istituti Sathya Sai». Non che Io abbia bisogno di diffondere il Mio nome: guadagnate voi un buon nome!

L’antica cultura

Che ha detto il presidente dell’Organiz­zazio­ne Sai Indiana, Srinivas? Ha affermato che «tutta la nostra cultura è la Cultura Sai», ma si è sbagliato, anche se con tutto il suo amore. La nostra cultura non è sorta oggi, ma è antichissima. Sathya Sai è venuto ai nostri giorni, ma questa cultura «è eterna, trascendente, atemporale, eternamente pura, infinita, immacolata, cristallina».

Per esaltare il nome di Swami, voi vi profondete in espressioni altisonanti, che però a Me non piacciono. Invece di parlare in maniere elevate, dovreste comportarvi in maniera elevata, grandiosa e impegnarvi in quel senso, procedere in quella direzione, completamente felici. Non copiate l’esempio degli altri, ma fate in modo di essere voi l’esempio migliore. In ciò sta la fiducia in sé e, quindi, la soddisfazione di sé, il sacrificio di sé, che porta alla realizzazione del Sé. Nel Sé c’è tutto: raggiungetelo pienamente. Ecco la vera cultura dell’India.

Le prove e la ricchezza dell’India

Nonostante fin dall’antichità l’India abbia dovuto subire tanti disagi, tribolazioni e ostacoli, ci sono sempre stati del popoli, come i Musulmani, gli Arabi, gli Inglesi, che l’han voluta conquistare. La causa della colonizzazione dell’India viene dagli Indiani attribuita alla sua povertà. «È una povera nazione», dicono; ma è un grosso errore pensarla in quel modo. C’è forse una nazione più nobile dell’India? Dite che è povera, ma siete voi che pensate poveramente. Se davvero fosse povera, per quale ragione tanti popoli l’avrebbero invasa? In realtà, essi si son portati via tutta la ricchezza di questa nazione, in elefanti, macchine, cavalli e oro. L’India è ricca, piena di risorse e promettente. In che scarseggia? Siccome voi pensate miseramente, credete che anche la nazione sia misera.

Elevate il vostro pensiero, perché si diventa ciò che si pensa. Pensate alla grandezza della vostra nazione, ed essa sarà grande! In effetti, perché andate ad attingere a scritture d’argento o di rame, quando l’India le ha d’oro? Non avete bisogno di ricorrere alle altre; la nostra cultura è il massimo. Perché ne avete una così scarsa stima? Altissimo è il livello della prosperità e dell’abbondanza che caratterizzano l’India. Qui non manca nulla di ciò che hanno le altre nazioni, ed è per questo che l’India è considerata Maestra universale. Voi avete dimenticato la vostra madrepatria e andate esaltando le altre nazioni. Certo, non dovete criticare nessuna nazione, perché tutte sono buone.

Bontà di tutte le religioni

Tutte le religioni sono buone. Che cosa è cattivo? La mente; è il pensiero cattivo che fa vedere cattive le religioni.

Tutte le religioni hanno come comune insegnamento il bene. Comportatevi in base a ciò che da esse sapete. Quale religione può essere cattiva se la mente è buona?

Tutte le religioni — Cristianesimo, Islam, Zoroastrianesimo, Buddhismo. Giainismo, Sikhismo — tutte sono buone; le trova negative chi pensa in negativo. La mente viaggia dappertutto. «L’Universo intero si basa sulla mente». Se la mente agisce correttamente, tutto procede per il meglio, la nazione migliora. Non cercate di correggere gli altri; correggete prima voi stessi, la vostra mente, e il resto della nazione andrà bene.

Studenti, sono tante le cose che vi tocca studiare, conoscenze che prendete dai libri di testo per i vostri esami. Ma non è questo il sapere che vi darà protezione, anche se è necessario questo studio per essere promossi. Esiste una sola cosa che vi può proteggere, ed è la buona fortuna di essere nati in questa nazione.

Gratitudine

Grande è la fortuna di essere nati in India ed è un bellissimo vanto poter dire “Sono indiano”. Dovete però mantenervi fedeli a questa grande opportunità; non rinnegate mai, in nessuna circostanza, la vostra madrepatria; non dimenticatevela nemmeno in sogno. In ciò consiste la vera gratitudine. Se non sapete essere grati, a che serve una vita umana? L’ingrato è un selvaggio, un miserabile.

Quando si fa il Surya namaskar, il saluto al Sole, si dice Krityajñaya namah, «Salutiamo chi è grato». Chiunque sia, una persona grata sarà sempre perdonata. Non dimenticate mai il bene ricevuto, perché sareste degli ingrati e nessuno giustificherebbe uno che manca di gratitudine. Dimostrate gratitudine; non siate mai ingrati.

Riaccendete la nostra cultura, esponetela apertamente. Non abbiate mai paura di niente, di quello che gli altri possano farvi. Lasciateli fare. Parlate pubblicamente della cultura indiana, diffondetela e, se per questo vi uccideranno, facciano pure: morte e vita non sono due realtà, bensì una sola. Se morrete per questo ideale, avrete assolto un debito di riconoscenza all’India. Non mettete mai in ridicolo la vostra cultura, non abbiate paura di sostenerla.

La madre e la madrepatria

Dio vi sta più vicino di vostra madre: Egli è più della madre che vi è solo vicina. Dove sta Dio? Dovete scoprirlo, mentre vostra madre non la cercate, l’avete scelta. Come potreste dimenticarla? Perciò, Râma disse che «la madre e la madrepatria sono molto più del paradiso».

Ci sono molti devoti di Râma oggi qui, i quali cantano il Suo nome, ripetendolo: “Ram, Ram, Ram,…” A che scopo lo fanno? I fedeli di Râma sperimentano e godono tutta la ricchezza che Râma invece sacrificò rinunciando al trono a cui aveva diritto. Costoro vogliono i soldi.

Il desiderio divide

C’è qualcuno pronto allo stesso sacrificio di Râma, rinunciando a ricchezze, ori, possedimenti e macchine? No. Ci fu solo la madre Sîtâ così. Infatti, per stare accanto al marito che vedeva come la personificazione di Dio, lasciò ogni bene materiale e si apprestò ad accompagnare Râma nella foresta. Quando ella se ne allontanò? Accadde quando volle avere il cervo: un cervo (deer) dorato la distolse dal benamato (dear)! Quella fu la causa della sua sofferenza. Ed ella pianse:

Perché mai è venuto qui quel misero animale?
Quanto mai ho chiesto di averlo!

Si dice che nei momenti difficili tutto prenda le distanze. Quando sopraggiungono tempi duri, si perde il senso del discernimento fra il bene e il male. Non abbiate mai fretta. Siate pazienti, calmi, gioiosi, e avrete successo. Che andiate all’estero in qualche nazione o abbiate degli esami da superare o dei posti da occupare, nessuno vi dirà mai di no. Io nemmeno avrò obiezioni contrarie. Occupando posti di rilievo, si può servire meglio il Paese. Ma a che serve un posto se non lo si sa mantenere?

Fai buon uso dell’opportunità che hai, senza perderla.
Se hai avuto l’occasione di stare ai Piedi Divini,
realizzati nella devozione.
Non farti condizionare dalla parole altrui.
Acuisci l’intelletto e alleviati il karma.

È quanto dovete fare. Non occorre che diate retta ad altri: seguite la vostra coscienza, che è il vero Dio. Se non seguite la coscienza, seguite i sensi, e chi segue i sensi rovina se stesso.

Hanûmân e Râvana

Pensate alla potenza e alla ricchezza di Râvana, che aveva accumulato beni rubandoli al fratello Kubera, (dio della ricchezza), la cui fortificazione era fatta d’oro. Râvana ebbe in tutto una forza straordinaria: fisicamente, mentalmente, intellettualmente e persino nelle austere pratiche ascetiche. Ma a che gli servì? Alla fine, soccombendo ai sensi e facendosi loro schiavo, istupidì. Il guerriero è valoroso quando sa sottomettere i propri sensi, mentre chi soggiace ai sensi s’indebolisce.

Quando Hanûmân raggiunse Shrî Lankâ, aveva in mente il nome di Râma. Quand’era vicino a Râma, era intimidito (dînudu); quando invece si trovò di fronte a Râvana, divenne un prode (dîrudu). Allora Râvana gli domandò: «Chi ti manda?» Che cosa poteva rispondergli?

«Mi manda colui che ha reciso naso e orecchie alla tua giovane sorella.

Mi ha mandato qui colui che ha mozzato il naso e le orecchie a tua sorella».

Questa fu la precisa risposta che Hanûmân diede.

Che tipo d’uomo era Hanûmân? Virtuoso, di carattere, coltissimo; eppure divenne il miglior fedele di Râma, pronto ad ogni servizio. Non aveva assolutamente alcun senso d’ego e, perciò, fu anche in politica, come ministro alla corte di Sugrîva, al quale aveva condotto Râma e Lakshmana.

Râvana si adirò nel discutere con lui: «Ehi, tu! Come osi disobbedirmi? Non c’è mai stato nessuno al mondo che mi si sia rivolto con i modi che si usano per i servi! Nessun re mi ha mai detto “Vieni qui!”. Ti farò chiudere quella bocca!» E Hanûmân: «C’è gente che non sa quanto sei pazzo e quindi non osa rivolgersi a te come a uno schiavo. Dio in persona è il mio padrone e io ho l’autorità di parlarti come si fa coi servi. Ho anche il diritto di picchiarti!»

«Oh, quanta rabbia! Che coraggio!», gli disse Râvana prendendolo per la coda. Si sa che le scimmie si arrabbiano moltissimo se si fa qualcosa alla loro coda, come pure gli elefanti, se si stuzzica la loro proboscide. Sono animali molto intelligenti. Allora, Râvana appiccò fuoco alla coda di Hanûmân, il quale disse: «L’ho preso da te». E estese le fiamme a tutta Lankâ. I demoni si misero in agitazione:

Chi ha mandato questa scimmia ad appicar fuoco a tutte le case e alle nostre strade? Tutto è andato distrutto. Quale sarà la casa che colpirà adesso?

«Io sono il dardo di Râma, il Suo messaggero. La mia pace è nel vedere Sîtâ».

Questa scimmia sta distruggendo ogni casa. Chi l’ha mandata?

Così, anche nel dolore essi pensarono a Râma. È molto importante pensare a Dio in ogni momento critico, nella lode e nel disonore, nelle difficoltà, nei problemi, negli insuccessi. Perciò, in qualsiasi circostanza, non dimenticate mai di cantare la Sua gloria.

Nutrire i valori umani

Lasciate pure che le tribolazioni sopravvengano, ma non dimenticatevi mai di Dio. Allora sarete fra coloro che sostengono i veri valori umani. Che tipo di uomini sareste se non alimentaste i valori umani della verità, della rettitudine, della pace e dell’amore? Chi protegge e mantiene forti e irremovibili questi valori è un vero essere umano. Ma chi ne è privo è un demone.

Mânava, significa infatti “essere umano”; è un titolo che meritiamo solo quando possediamo i valori dell’uomo. L’abbiamo ottenuto dopo molte nascite, come la stessa parola dice: ma (non) nava (nuovo), cioè antico. Siamo molto antichi; proveniamo da numerose esistenze. Considerate la vita come una grande occasione, una fortuna, qualcosa che avete meritato, e comportatevi da veri esseri umani, poiché questo è lo scopo principale dell’esser nati.

Ricordare ciò che si è udito

Incarnazioni dell’amore, studenti, voi ascoltate con piacere, e vi beate mentre siete in ascolto; ma ciò che qui avete udito, dovete metterlo in pratica quando sarete fuori; dovrete digerire ciò che avete mangiato. Guardate le vacche: vanno a cercare in vari posti l’erba verde per mangiarla; la brucano in gran fretta, e poi tornano dov’erano prima, la rigurgitano trattenendola in bocca e la rimasticano. Anche voi, udite tutte queste cose, dopo esservi ritirati ai vostri posti, riportando alla memoria quanto avete ascoltato, dovete ruminarle ben bene. Il valore dell’uomo sta in questi tre passaggi: (udire, ricordare, assimilare). Bisogna che ci sia un risultato e tale risultato dev’essere stabile. Il risultato non lo prendete da qualche parte; è qualcosa che si merita. Dunque, meritate questo successo, senza mai abbandonare la cultura dell’India.

Il mutevole e l’Immutabile

Le varie ere, come il Krita, il Treta e lo Dvâpara Yuga, hanno veduto molti cambiamenti, che però non hanno alcuna importanza se non cambiate voi. Ci saranno sempre dei cambiamenti. Il vostro corpo, alla nascita era piccolo e tutti allora vi chiamavano “bam­bino”. A dieci anni vi chiamano “ragazzo”; a trent’anni, “uomo”; a settantacinque anni, “nonno”. Il bambino, il ragazzo, l’uomo e il nonno non sono individui differenti; è cambiato il loro nome, ma sono sempre la stessa persona. Così pure, molte epoche si sono avvicendate, ma la cultura dell’antico Dharma è rimasta sempre identica a se stessa. Non vogliate introdurvi dei cambiamenti, poiché essa è l’eterna e immortale Verità. Non dobbiamo abbandonare la nostra devozione se vogliamo che quella Verità rimanga immutabile. Salmodiate il nome di Dio, non dimenticateLo mai.

(Il Bhagavan conclude il Discorso intonando il bhajan “Râma Râma Râm, Sîtâ…”; poi s’interrompe dicendo: «No, no, no. Nel nome di Dio contempleremo il Suo dolce nome». Quindi intona il bhajan che predilige, “Prema mudhita”.)

Brindâvan, Sai Ramesh Hall, 27 maggio 2000, pm.

Corso Estivo 2000

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