16 Maggio 2000 – La Trinità della Parola, della Mente e del Cuore

16 Maggio 2000 

Discorso Divino di Bhagavan Sri Sathya Sai Baba

La Trinità della Parola, della Mente e del Cuore

Una persona diventa cattiva
quando le sue scelte e i suoi pensieri sono cattivi;
ma diventa buona quando i suoi propositi sono buoni.
Trascendendo ogni decisione, si ha pace.
Questa è la parola di verità che vi trasmetto:
è la Parola di Sai.

Incarnazioni del Divino Amore, studenti e studentesse, fra gli innumerevoli esseri che abitano questo mondo immenso e infinito, l’uomo si trova al posto più elevato e nobile. La vita dell’uomo è la più elevata e merita d’esser vissuta. Da dove le viene tanto valore? Dal corpo? Dal suo aspetto? No, no! Il corpo umano è fatto di cinque elementi, e in esso ci sono urina, feci, cattivi odori e sangue; tuttavia è importante per lo Spirito.

Brahmâ, Vishnu e Maheshvara

Incarnazioni del Divino Amore, alla fine del suo lungo discorso, Deepak Anand ha posto tre domande. Ogni singolo Avatâr ha un padre e una madre; ma chi sono i genitori di Brahmâ, Vishnu e Maheshvara? Nessuno può capire questa verità. Nessun testo sacro, nessuna Upanishad ne ha dato spiegazione, e nessun libro è mai stato scritto sull’argomento. Le tre Persone della Trinità non indossano un involucro fisico, ma sono soltanto espressioni delle guna, qualità insite nella Natura. Corrispondono agli attributi che si trovano in ciascun uomo, dove si sono installate per il compimento delle attività.

Se gli uomini non sanno riconoscere il Divino nell’umano, come potranno esprimerlo, manifestarlo apertamente? Quindi, bisogna rendersi conto che Brahmâ, Vishnu e Maheshvara sono espressioni di quegli attributi. “Il Cosmo intero è pieno di Dio”, si legge nelle Upanishad, poiché Dio si trova in tutte le creature viventi, ne costituisce la parte più intima di sé, l’anima, l’Âtma.

Nella Sacra Rivelazione si dà un nuovo nome al Sé. In ciascun corpo c’è un cuore, che i Veda hanno chiamato “Âtma”. La mente proviene da questo cuore, dall’Âtma; perciò si dice che la mente sia l’incarnazione di Vishnu. “Il mondo intero è pieno di Vishnu”, dicono le Scritture, e pure onnipervasiva è la mente, in quanto “è la base su cui si regge l’esistenza del mondo”.

Ma allora, da dove è sorta questa mente? È venuta fuori dall’Âtma, che si chiama anche Îshvara. Quindi, in ciascun individuo è presente la natura di Îshvara. “Îshvara è in tutti gli esseri viventi”, ripetono le Scritture; la qualità di Îshvara, infatti, è quella di pervadere tutte le creature viventi.

Da questo nucleo la cui natura è quella di Îshvara, è sorto Vishnu, la mente. Brahmâ è invece colui che nacque dall’ombelico di Vishnu, e solo Lui rappresenta l’espressione della Parola.

Così l’hanno descritto: (Swami elenca con voce dolce)

Shabda Brahma mayî (il Suono è Dio), Charâchara mayî (ciò che si muove e ciò che è immobile), Jyotir mayî (la Luce), Vâk mayî (la Parola), Nityânanda mayî (la Beatitudine infinita), Paratpara mayî (l’Onnipotenza), Mâyâ mayî (l’Illusione), Shrî mayî (la Prosperità): sono tutti aspetti di Dio. Brahmâ è la Parola; Vishnu è la Mente; Shiva è il Sé.

La grandezza della Divinità risulta dal rapporto fra Âtma, Mente e Parola, tre elementi che sono fra loro interrelati e interdipendenti. In ciascun uomo, Brahmâ, Vishnu e Maheshvara si manifestano nelle varie qualità espresse dall’individuo, cosicché la forma di un uomo è la loro forma. Queste tre espressioni del Divino non hanno vita separata da quella dell’individuo.

Che aspetto ha l’Âtma? La sua forma è quella della coscienza. (Swami corregge il traduttore cambiando “awareness” in “consciousness”) Dunque, Îshvara non ha forma specifica, ma non è altro che il principio della coscienza, a cui è stato dato quel nome. È dalla coscienza che si giunge alla consapevolezza: dalla coscienza si arriva al cuore. Quella sola è la mente, da cui prende forma la parola e la consapevolezza.

Molte volte vi ho detto che voi siete la sintesi di tre persone: quella che pensate di essere, quella che gli altri pensano di voi e quella che voi siete realmente. Queste tre persone sono simbolicamente rappresentate da Brahmâ, Vishnu e Maheshvara. La qualità dell’onnipresenza che caratterizza Vishnu è propria anche della mente. Vishnu significa ciò che è dappertutto, e la mente tale è, come dicono le Scritture: “A fondamento dell’Universo c’è la mente”.

La mente ha la facoltà di vagare dovunque, non importa il momento o il luogo o il motivo o la nazione. Quelle tre qualità non sono influenzabili da qualsiasi situazione, stato o epoca.

Brahmâ simboleggia il Cosmo nel suo complesso di forme, senza limiti di espressioni o nomi. Vishnu simboleggia colui che pervade il mondo intero, e perciò non ha alcuna forma. E poi c’è la parola, il Suono di Dio. “Dio è Suono” e non ha alcun limite. Perciò, Brahmâ, Vishnu e Maheshvara sono da intendersi privi di limitazioni, di legami e sono all’interno di ogni essere, pervadendone ogni interstizio.

Anche la forma dell’atomo è una delle loro forme; come affermano le Scritture, sono “il più grande del più grande, il più piccolo del più piccolo”. L’infinito che ha trovato espansione nel Cosmo intero ha la sua forma condensata in ogni atomo di un corpo. L’Energia Divina contenuta in un atomo, pervade tutto il Cosmo sotto forma di Beatitudine Divina (Brahmânanda), anche se non si riesce a vedere.

Se dunque comprenderemo la natura di Brahmâ, Vishnu e Maheshvara, che ci è propria, saremo in grado di capire tutto l’Universo. Il nostro cuore è Îshvara; coloro che sanno di avere per cuore Îshvara non cederanno mai a cattive qualità, o a pensieri e ragionamenti cattivi.

In realtà, Dio trascende tutti gli attributi, è al di là di tutte le forme; “Egli è eterno, immacolato, dolce come il nettare”. L’uomo però non tiene in grande considerazione la natura del Divino; ha un cuore, ma si comporta follemente come se non l’avesse. Chi dunque pensa che il cuore sia Brahmâ, deve vivere nel sentimento di Brahmâ, il quale non fa scelte, non ha pensieri. Brahmâ è solamente la forma della parola. Di qual genere è quella parola? Sono le parole dei nostri discorsi, che sono pieni di realtà immobili e mobili, di illusioni, discriminazioni e fortune. Se vi rendeste conto che il vostro parlare è un’espressione di Brahmâ, quale valore gli attribuireste?

Incarnazioni del Divino Amore, proprio come Brahmâ ha il controllo della parola e della mente, così pure noi dobbiamo avere il totale controllo su pensieri e parole, in modo da indurre in noi il silenzio di Dio. Le parole si diffondono come onde; devono quindi essere innanzitutto buone, dolci, soavi, gradevoli: questa è la Parola del Divino. E quel modo di parlare è la prova che dimostra esteriormente la presenza di Dio nel nostro cuore.

Parliamo ora di Vishnu. Qual è la forma assunta da Vishnu? La sua forma è la mente, strumento assai utile che va mantenuto in uno stato di purezza, calma e dolcezza. Vishnu è sempre sorridente, ha sempre il sorriso sulla bocca ed è nella pace suprema; anche la vostra mente dev’essere rilassata, dolce, in pace assoluta e danzare col sorriso sulla bocca.

L’incontro dei saggi con Vishnu

Quattro saggi si misero in viaggio per avere il darshan di Vishnu. Secondo la nostra tradizione ciò si deve fare con il massimo rispetto. I quattro – Jaya, Vijaya, Sanaka e Sananda – partirono; avevano l’aspetto di bambini appena nati, senza difetti, senza alcun attaccamento, senza condizionamenti. Con questo atteggiamento ebbero tutti e quattro il darshan di Vishnu, cioè ebbero una mente pura e sacra com’è proprio dell’essenza di Mahavishnu. L’essere umano è colui che ha una mente pura; per questo si chiama mânava. Chi possiede una mente siffatta? Vishnu. Perciò sorride.

(Swami a questo punto si rifà ad una storia dei Purana, ricostruendola però senza attenersi alla lettera e modificando l’originale a proprio piacimento…)

Esattamente come qui ci sono dei volontari che controllano chi entra ed esce, anche là, presso la dimora di Vishnu c’erano due sentinelle, le quali li fermarono e chiesero: “Non potete avvicinarvi a Dio così”. Si misero allora a discutere. I saggi dissero: “Dio è puro, immacolato, senza ego, senza attributi. Per avere il Suo darshan, occorre essere come Lui, senza attributi”.

E andarono avanti con queste discussioni per molto. Ma le guardie si adirarono e li maledissero: “Potreste essere dei demoni!” I saggi però dissero: “Possono maledire tutto ciò che vogliono, ma noi vogliamo il darshan di Vishnu. Non c’importa se la loro maledizione ci procurerà un sacco di guai”.

E si presentarono a Vishnu inchinandoglisi ai piedi e facendo propria la Sua mente pura: “O mente, – dissero poi – o Vishnu, che ne sarà di noi? Devi benedirci con il tuo dolce e soave darshan. Non abbiamo altro desiderio; non abbiamo pensieri od opinioni. Il tuo darshan è la nostra gioia suprema; il tuo tocco è il nostro alimento; la tua conversazione con noi è il nostro respiro. Queste tre cose vogliamo ottenere da te”.

All’udir questo, Vishnu benedisse i quattro saggi-bambini. Poi si rivolse a Jaya e Vijaya: “Sentinelle, non c’è alcun motivo di scagliare simili maledizioni; quella maledizione vi condanna a nove anni di vita da demoni. Dovrete rinascere come demoni. Tuttavia, se non riuscite a sopportare le pene della separazione da Me, con la meditazione, la preghiera e mediante la Mia Grazia, potrete presto ritornare alla Mia presenza.

Non è possibile modificare il corso di una maledizione lanciata da saggi. Ma se avrete il vostro pensiero costante in Me e vi dedicherete a qualsiasi pratica di adorazione, in uno stato di completa avversione, criticandoMi, Mi raggiungerete nel giro di tre anni”. Jaya e Vijaya dissero: “Swami, a noi non interessano critiche, lodi o biasimi. Per noi, ciò che importa è la tua presenza. Va bene: se dovremo criticarti, lo faremo, penseremo a te, ci ricorderemo di te e ti raggiungeremo”.

Criticando continuamente Dio, si trovarono di fronte alle conseguenze delle maledizioni lanciate dai saggi. Dappertutto, in tutte le epoche non si perde un’occasione per criticare Dio, per dargli la colpa di tutto, anche delle più piccole cose. Ma che cosa cambia dopo aver criticato, lodato o rifiutato? Non cambia nulla. (Dio rimane sempre quello che è).

Dio è chiamato “ladro”

Orbene, voi rivolgete tante critiche a Krishna: Chitta chora yashoda ke bal navanîta chora gopal (“Il figlio di Yashodâ è un ladro di menti e di cuori, il Divin Pastore è un ladro di burro…”). Voi Lo definite “ladro di menti”. È una colpa che Gli attribuite, no? Dire “Krishna è un gran ladro di elefanti” sarebbe un insulto che farebbe insorgere i devoti di Krishna contro la persona che pronuncia quell’accusa. Ma, se invece di dirlo con cattiveria e odio, lo dite col canto, così… Chitta chora yashodâ ke bal… vi sentite pure voi trascinati nel canto, e in quella dolcezza musicale, la vostra mente si purifica.

Così pure, tutti gli uomini criticano Dio; solo che lo fanno senza incorrere nella maledizione. Ecco perché Jaya e Vijaya si liberarono della maledizione in tre anni. Tanto può la mente.

Vishnu non è quello che porta la conchiglia, la ruota, la mazza e il loto. Soltanto degli stravaganti come il pittore Ravi Varma Lo hanno immaginato così. Ma Vishnu è la forma della mente. Per questa ragione io vi dico, anche quando vi dono un anello di diamante, “Die mind”, “Uccidi la mente”. In che senso, uccidere la mente? Nel senso che il pensare alla maniera umana deve lasciare il posto al pensare alla maniera di Dio. La mente che c’è in ogni singolo uomo è la stessa forma di Vishnu.

La parola è Brahmâ

Ogni parola proferita dall’uomo è la forma di Brahmâ. Perciò nessuna vostra parola dev’essere usata male. È per questo che tutti i rishi dell’antichità praticarono la disciplina del silenzio, per evitare di parlar troppo o di dire cose non vere. Chi parla troppo finisce per procurare dolore ad altri. Quando si parla troppo, è facile che ci si agiti. E, con l’agitazione, si compiono azioni sbagliate. Così i saggi antichi decisero di osservare il mouna, il voto del silenzio.

Che significato ha tacere? Osservare il voto di silenzio non vuol dire semplicemente tenere la bocca chiusa, ma significa tenere sotto controllo i propri impulsi, pensieri e decisioni. Si dovrebbe essere liberi da qualsiasi scelta. I saggi antichi tenevano sotto controllo la mente in tante maniere. In che cosa consiste oggi la mente? La mente è l’espressione delle proprie scelte.

Che cos’è questa? Una stoffa? No. È un insieme di fili, ma non si dice che siano fili. È cotone. Dunque, questo oggetto è fatto di fili; ma, se vogliamo disfarlo, dobbiamo togliere un filo alla volta. Allo stesso modo, anche i sentimenti che ci sono in noi nella forma di parole devono essere sciolti e ridotti fino ad un certo punto. Meno bagaglio, viaggio più comodo e più piacevole. Parlate di meno. Riducendo il parlare, si sperimenterà la forma del Divino.

Incarnazioni del Divino Amore, Brahmâ significa parola, Vishnu significa mente, Îshvara significa cuore. Ogni singolo essere umano, – parola, mente e cuore – è l’incarnazione della Trinità: le tutti hanno queste tre qualità.

L’uomo è l’incarnazione dei tre attributi, è l’incarnazione della sapienza, ha tre occhi e brandisce il tridente di Shiva, simbolo delle tre dimensioni del tempo. I peccati di tre nascite saranno distrutti quando offro la foglia di bilva a Shiva. Così insegnano le Scritture.

I tre occhi di Shiva

Shiva ha tre occhi. Anche ogni uomo ne ha tre, ma quando cerca di verificare se ciò sia vero, dice che non è così. Voi conoscete il passato, siete in grado di sapere ciò che è accaduto. Siete anche in grado di sapere ciò che sta accadendo in questo momento. Però, non sapete vedere ciò che accadrà in futuro. Il fatto di avere tre occhi implica la capacità di vedere anche il futuro, ciò che accadrà.

Se farete buon uso del passato e del presente, il futuro sarà nelle vostre mani. Invece, chiunque voi incontriate non fa altro che pensare al suo avvenire o al suo passato, a quel che sarà e a quel che è stato. La gente pensa sempre alle cose del passato, oppure si preoccupa chiedendosi che cosa sarà mai del suo futuro. Così, fra la preoccupazione per il futuro e l’angoscia del passato, dimentica il presente.

Eppure, il presente proviene dal passato e ciò che risulterà da questo momento presente farà il futuro della persona. Quindi, futuro e passato sono entrambi inclusi nel presente. Il nostro avvenire sarà esattamente come organizziamo il nostro presente. Se lo viviamo rettamente, avremo un avvenire felice.

I semi dell’albero del passato sono nel presente, ed è da questi stessi semi del presente che nascerà l’albero dell’avvenire. Dunque, l’albero dell’avvenire e l’albero del passato sono nei semi del presente. Come sono i semi di quest’albero? Sono piccoli, ma daranno origine prima a una pianticella, poi a un grande albero. Tutto il futuro è contenuto nei semi del presente. Gli uomini non prestano la dovuta attenzione a questa verità. Come mai? Fate buon uso del presente. Se vivete in piena gioia il presente, coglierete buoni frutti nel futuro.

Incarnazioni del Divino Amore, voi siete incarnazioni della Trinità, espressione delle tre qualità, la forma dei tre occhi.

La casa di Parvatî

Eccovi una piccola storia. Una volta Parvatî si avvicinò a Shiva e gli disse: “Îshvara, ogni giorno vai da un luogo all’altro; non sei mai a casa! Non hai residenze. Come faccio a vivere accanto a te, senza una casa, senza nemmeno un lenzuolo per proteggermi dalla pioggia. E, come se non bastasse, ci sono migliaia di saggi che vengono da te per avere il tuo darshan. Sarebbe conveniente, sia per loro che per noi, costruire un capannone oppure una casa”.

La Gruha Lakshmî, ossia la donna di casa, desiderò avere una casa. Per ogni donna ciò è normale. “Occorre costruire una casa”. Îshvara disse: “Parvatî, a che serve costruire una casa? Ancor prima d’abitarvi, ci vanno i topi. Per eliminare i topi bisogna avere dei gatti e per mantenere i gatti ci vuole del latte. Ci vuole poi un domestico che provveda a dare il latte ai gatti. Perché mai dipendere da tutte queste cose? Non ci serve una casa!”

Lei diceva di volerla, e lui invece no. E così si misero a discutere, come accade in tutte le famiglie: sì-no, sì-no, sì-no. Alla fine, Parvatî chiese con molta tranquillità: “Îshvara, perché sei così testardo? Non è per me che te lo chiedo. Qui vengono anche dei rishi; bisognerebbe offrir loro un riparo. Un riparo serve a tutti: a me, a te, a chiunque”.

Allora Îshvara rispose: “Quand’anche volessi dare inizio alla costruzione, questo non è il momento più propizio. Potresti costruire anche un grande palazzo, ma il dio Fuoco lo consumerà. A differenza di te, io lo so perché vedo il futuro. Perciò, stai zitta; chiudi la bocca e mettiti a sedere”.

Ma lei replicò: “Îshvara, tu possiedi ogni potere e tutti gli dei ti sono sottomessi; lo stesso dio Fuoco dipende da te, come del resto tutti e cinque gli elementi. Se tu lo ordini, neanche il fuoco potrà far qualcosa, non è così? Non potrà fare alcun danno all’edificio. E allora, emetti quest’ordine al Fuoco”.

E Îshvara: “Va bene. Che altro resta da fare se non soddisfare il desiderio della donna?” E così dicendo, si apprestò ad adempiere alla promessa, dicendo prima alla sposa: “Aspettami qui. Vado dal dio Fuoco per assicurarmi che esegua il mio ordine, poi ritornerò”. La parola di Îshvara è Verità. E così Parvatî diede inizio ai lavori.

Comunque, gli disse una cosa prima che se ne andasse: “Îshvara, se Agni, il dio del Fuoco incendiasse la casa che costruisco, sarebbe un grave insulto nei miei confronti; se quindi Agni non accettasse il tuo ordine, suona il dhamaruka, il tuo tamburello: a quel suono io stessa appiccherò il fuoco alla casa che ho costruito. Non voglio lasciargli questa soddisfazione”. Îshvara glielo promise.

Si recò da Agni, il quale, dopo avergli fatto namaskar, gli chiese: “Signore, qual buon vento ti ha portato sin qui?” Ed Îshvara: “Oh, assolutamente nulla. Parvatî sta costruendo una casa come questa e il tuo fuoco potrebbe essere pericoloso. Dammi la tua parola che le starai lontano, che non ti avvicinerai”. Agni diede la sua parola; con l’occasione pregò Shiva: “Swami, da molti giorni sto covando il desiderio di vedere la tua Danza Cosmica (Tandava). Per quanto tempo ancora dovrò aspettare per vederla?”

Allora, per accontentarlo, Shiva iniziò la Sua Danza. Durante questa danza, Shiva percuote il Suo dhamaruka. Parvatî, che da lontano udì il suono del tamburello, appiccò fuoco alla casa.

(Swami canta)

Shiva danzò; il Signore Shrî Samba Shiva
eseguì la Danza Cosmica, Colui che
indossava gioielli e bracciali danzò la Tandava.
Mise mano sul Suo dhamaruka, che emise il suono
“dhanam, janam, jana, jana, taka,…”
La giovane vergine (il fiume Gange) sul Suo capo,
il terzo occhio sulla Sua fronte,
il rosario di cristallo (spatikamala)
portato con grazia e splendore,
Egli danzò la Tandava, una danza celestiale.

(Anil Kumar, il traduttore, si blocca incapace di rendere il poema di Baba, giustificandosi: “È un canto bellissimo che non voglio rovinare traducendo”).

Così, Parvatî finì per incendiare la sua casa! Îshvara, giunto sul luogo, al vedere tutte quelle fiamme, gridò: “Parvatî (Swami usa un tono di sospresa), che è mai tutto questo? Agni mi ha promesso che non avrebbe dato fuoco alla casa!” Ed ella chiese: “Allora, perché hai suonato il tamburello?” “La mia volontà iniziale era quella di non avere una casa; poi te l’ho promessa e tu l’hai avuta. Poi, mi è stato chiesto di eseguire la Mia Danza Cosmica e, per soddisfare anche quel desiderio, dimenticando la casa, l’ho fatto, accompagnandola col suono del dhamaruka”.

Perciò, la morale è che nessun volere di Dio può rimanere inadempiuto, quali che siano gli ostacoli che possono presentarsi. Le qualità del cuore troveranno sempre soddisfazione e, se il cuore è buono, puro, anche ciò che otterrà sarà buono e puro. Ecco perché dovremmo avere sempre un cuore puro; quella è l’unica qualità di Shiva e il Suo mistero. Dobbiamo formarci un cuore che abbia la natura di Shiva, una natura piena di buoni auspici.

Purezza di cuore e veridicità

Incarnazioni del Divino Amore, tutto ciò che oggi vi si deve dire è questo: mantenere puro il cuore. Non abbiate sentimenti che v’inducano a criticare, accusare, usare parole dure, oltraggiare. Il cuore puro esprime la natura di Shiva. Da quel cuore nasce poi la mente. Molti oggi la definiscono una mente di scimmia (monkey mind). In realtà è la mente del genere umano (mankind). È la forma di Vishnu; si chiama uomo colui che è dotato di mente. La nostra mente va riempita di sentimenti di compassione, di gioia, di amore, di verità. Questo è il modo per far sì che la mente esprima la natura di Vishnu.

Infine, per esprimere la natura di Brahmâ ci devono essere parole di verità. Niente è più elevato della verità. Tutto è stato creato in forza della verità e tutto quanto c’è nella creazione è emerso dalla verità. Non è possibile trovare qualcosa al mondo che sia estraneo al miracolo della verità. Osservate la verità in tutta la sua purezza! La verità è l’espressione di Dio. Dio non è nient’altro che verità, e la parola è la forma di Brahmâ, come la mente quella di Vishnu e il cuore quella di Shiva.

Tuttavia, Brahmâ, Vishnu e Maheshvara non sono forme umane, sono solo attributi, qualità. Che tipo di qualità? A volte si esprimono con la punizione o con un atteggiamento severo, duro. Altre volte può avere perfino il tono della rabbia o dell’ammonizione, della protezione o della rassicurazione. Entrambe le qualità possono manifestarsi, sia quella della durezza sia quella della consolazione. Dio soddisfa i vostri desideri; ma quando si tratta di togliere il male da voi, lo distrugge. Lo sapete: chi ripone la sua fede nelle qualità di Shiva, farà molte cose buone ed Egli vi sarà di estremo aiuto in tutto.

Markandaya

A Markandaya furono assegnati sedici anni di vita, Lui non ne era consapevole, ma lo sapevano i suoi genitori. Trascorsero un periodo bellissimo fino ai suoi quindici anni. Ma allorché il ragazzo stava entrando nel sedicesimo anno di vita, incominciarono ad essere angosciati e tristi. Sopraggiunse Markandaya: “Mamma, perché sei così triste?” Padre e madre lo presero vicino a sé: “Figliolo, per nostra sventura, con oggi il tempo della tua vita è nella sua fase finale”.

Il ragazzo rimase sorpreso a quelle parole e ne comprese tutto il senso recondito. “Mamma, – disse – voglio che nemmeno un istante di quanto mi è rimasto vada perso in attività non sacre. Quanto ne ho sprecato in questi sedici anni senza che lo sapessi! Ed ora, del tempo che mi resta farò il miglior uso dedicandomi alla contemplazione di Dio. Se in passato ho sprecato il mio tempo, in questo poco tempo che mi rimane adorerò Shiva.”

Si recò al tempio di Îshvara e si mise a pregare invocando i vari nomi di Shiva (Swami elenca quei nomi in forma litanica, con la formula conclusiva “a Te mi abbandono”). Poi, con quei nomi sulla bocca, si strinse all’effigie di Shiva. Il tempo scadeva e il dio della Morte era già lì che aspettava: Yama lo stette ad osservare a lungo, pensando: “Come faccio a legarlo senza trascinarmi via anche Shiva? Non riesco a staccare Markandaya e a prenderlo da solo.

Il tempo passa. Devo prenderlo ora, o mai più”. Yama prese il cappio e lo avvolse anche intorno a Shiva. Gli apparve immediatamente Îshvara: “Ehi, Yama! Che fai? Sei venuto per legare anche Me?” Dopo aver maledetto Yama, benedisse Markandaya donandogli l’immortalità. La morale di questa storia sta nella ferma determinazione di Markandaya e nella sua concentrazione contemplativa, che lo portò ad immergersi completamente in Dio.

Yat bhavam tat bhavati: “Ciò che pensate accade”. L’alito sarà come il cibo che avete ingerito; ad ogni azione la sua reazione. Non v’è alcun dubbio che Dio proteggerà in qualunque momento della vita il devoto in base alla sua contemplazione. Comprendete dunque questa verità e ponete il vostro cuore sul sentiero della santità. Dite: “Il mio cuore è Îshvara, la mia mente è Vishnu, la mia parola è Brahmâ”. Abbiate piena fede in questa Trinità e servitevene secondo rettitudine. Ne ricaverete un buon destino, senza errori e coglierete ogni occasione per immergervi in Dio. L’azione, buona o cattiva che sia, sortirà in esperienze buone o cattive.

Oggi Deepak Anand ha offerto a tutti voi una buona opportunità; non è così frequente che vi parli di Brahmâ, Vishnu e Shiva. Questo discorso è una risposta alle sue preghiere. Sapeste quanti segreti, quante verità sottili avete ancora da scoprire! E invece sprecate tempo, perdendo così l’occasione di conoscere i segreti che Dio ha in serbo per voi.

Il tempo è sacro

Incarnazioni dell’Amore, il tempo ha un valore incalcolabile, poiché è divino. Dio trascende il tempo, lo controlla. Dovremmo fare il miglior uso del tempo, santificandolo con le parole giuste, con discorsi santi, pensieri sacri e buoni sentimenti. L’amore dovrebbe essere il principio che governa ogni nostro atto.

(Baba chiude il discorso cantando “Prema mudhita”)

Whitefield, Brindavan, 16 maggio 2000.

Corso Estivo, Sai Ramesh Hall.

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