11 Maggio 1975 – Un errore fondamentale

11 Maggio 1975

Discorso Divino di Bhagavan Sri Sathya Sai Baba

Un errore fondamentale

[1] Potete possedere mucche di varie razze, di diversi colori e provenienti
da continenti diversi, ma il latte che producono ha comunque
la medesima composizione. Potete acquistare dell’oro proveniente
da luoghi diversi e incaricare alcuni orafi affinché forgino per
voi vari gioielli, ma l’oro di base non diminuirà di valore, continuerà
a rimanere oro. Gli esseri umani appartengono a diverse razze
ma la scintilla della vita, il jīva (il Sé individuale) in ogni uomo, è il
medesimo.
Dio è l’obiettivo di ogni preghiera, in qualunque lingua o dialetto
venga pronunciata. Potrete vedere persone che s’inginocchiano, si
prostrano con le mani giunte o le braccia tese, in una chiesa, in una
moschea o in un tempio, ma tutti chiedono aiuto, soccorso, forza,
saggezza, sicurezza e felicità a Colui che è la fonte inesauribile di
tutta la felicità, la saggezza, il potere: Dio.
Molti, tuttavia, nella loro meschina grettezza non riconoscono questa
verità di base, anzi, s’inorgogliscono della loro santità e denigrano
gli altri pensando che abbiano preso una strada sbagliata!
Costoro non hanno pace mentale né permettono agli altri di vivere
in pace. Tale è la stupidità dei fanatici.
L’uomo gode nel litigare e ama la faziosità perché ignora l’unità di
tutti gli uomini nel Sé; classifica alcuni come amici e altri come nemici,
crea dualismi dove fondamentalmente esiste solo unità. Sono
le sue antipatie e simpatie, i suoi pregiudizi e passioni che gli ritornano
come riflesso e causano le sue reazioni di amore e odio, nonché
l’eco di settarismi e conflitti.
L’amicizia e l’inimicizia scaturiscono dal vostro cuore, sono etichette
applicate da voi stessi, non sono marchi con cui gli altri vengono
contrassegnati alla nascita. Il medesimo uomo è il più grande amico
dell’uno e l’acerrimo nemico dell’altro: entrambi i casi sono causati
soltanto da una sua azione o da una sua parola!
[2] Ovviamente è meglio che non sviluppiate troppo attaccamento
nei confronti degli altri, e non vi facciate coinvolgere né dai teneri
legami dell’amicizia né dalla catena ferrea dell’odio. Tuttavia, se mi
chiedete cos’è meglio fare, è senz’altro più benefico coltivare i nemici.
Kabir ha asserito molte volte che è più utile avere un nemico, sempre
pronto a criticarvi per i vostri difetti, piuttosto di un amico che
chiude un occhio sui vostri errori. Il vostro avversario trae piacere
nell’insultarvi, e nei purāṇa si afferma che egli ridurrà e cancellerà
dal vostro conto i demeriti che dovete espiare con la sofferenza. Più
i suoi insulti sono malvagi, migliori saranno le vostre prospettive
per il futuro, perché il nemico assorbe i vostri peccati e le loro conseguenze.
Inoltre, poiché siete sempre consapevoli della presenza del vostro
avversario e delle sue tattiche, starete ben attenti a non concedergli
alcuna opportunità di puntare il suo dito di disprezzo contro di voi.
Egli è il vostro censore, correttore, è la vostra coscienza. Siate grati a
chi parla male di voi poiché, di sicuro, vi sta facendo un grande
servizio giudicando ogni vostra azione nei termini di moralità, verità
e rettitudine.
[3] In ogni caso, la via migliore per l’aspirante spirituale è trascendere
tutte le dualità e riconoscere l’unitarietà dell’ātma, al di là delle
differenze che appaiono nella manifestazione. Confondere l’Uno
con i molti è l’errore fondamentale che ha condotto l’uomo alla sofferenza
e alla miseria.
Egli vede la molteplicità, s’impegna in varie attività, è spinto in
molte direzioni, è distratto e afflitto. Non ha tempo di meditare sulla
Verità fondamentale che è una, è confuso da tutti i cambiamenti
fantasmagorici e si dibatte fra amore e odio, fra attaccamento e repulsione.
L’ignoranza fondamentale dell’Uno (che appare come i ‘molti’) è la
causa per cui gli uomini vengono a trovarsi in situazioni critiche;
essi non cercano il significato profondo di tutto quello che accade
attorno a loro.
Il principe Siddhārtha, che poi divenne il Buddha1, sentì la necessità
di conoscere e indagare. La maggior parte della gente vive una vita
superficiale, è come un ceppo di legno insensibile, inerte e tamasico,
sballottato su e giù dalle onde del mare. La fretta induce a sprecare
le risorse, e lo spreco genera a sua volta molte preoccupazioni. Persone
del genere non hanno tempo di sedersi a meditare sulla realtà
della loro esistenza, della conoscenza e della gioia. Se solo lo facessero,
potrebbero entrare in contatto con la sorgente di tutta l’esistenza,
conoscenza e gioia, ma non si sforzano di fare neanche un
passo verso l’auto-indagine. Come possono, dunque, trarre soddisfazione
da sé stessi, dalla propria vastità e indistruttibilità, dal
proprio infinito potere e saggezza?
[4] Voi avete la possibilità di rendere i vostri giorni sulla terra un
sentiero di fiori invece che una strada di spine. Riconoscete il Sai
che risiede in ogni cuore e per voi tutto sarà calmo, delicato e dolce.
Sai è la sorgente di amore del vostro cuore e del cuore di tutti quelli
con cui venite a contatto. Sappiate che Sai è onnipresente, è presente
in ogni forma di vita e in voi stessi. Adorate tutti così come adorate
Sai. Lasciate al vostro prossimo la stessa libertà di cui voi stessi volete
godere; fate agli altri ciò che vorreste fosse fatto a voi. Non fate
agli altri quello che non vorreste fosse fatto a voi. Questa è la sostanza
e la totalità della disciplina spirituale.
Un uomo cammina lungo la strada facendo roteare allegramente il
suo bastone da passeggio: è contento di sé stesso e della sua condizione,
e ha ogni diritto di fare così. Tuttavia deve rammentare che
altri percorrono quella stessa strada e hanno il suo medesimo diritto.
Quel bastone, dunque, dovrà essere usato in modo tale da non
ferire e fare del male agli altri utenti della strada. La vostra libertà
sarà quindi limitata dalla libertà che voi dovete concedere agli altri
membri della società nella quale vivete e prosperate.
In realtà, se non ci fosse il prossimo, non avreste alcun dovere da
rispettare. Il dovere sorge quando avete un’altra persona di cui occuparvi.
Voi avete un dovere da adempiere nei confronti di quell’individuo,
ed egli ha la responsabilità di meritarsi l’impegno che
voi vi sentite obbligati ad assumere verso di lui. Il vostro prossimo
deve meritarsi quell’impegno, e voi dovete svolgerlo con abilità,
sincerità e amore. Tutto ciò vi risulterà facile se pensate che quel
dovere fa parte dell’adorazione che offrite a Sai che dimora nell’altro
essere. In realtà, il dovere è verso il vostro stesso Sé, il Sai che è
la vostra vera essenza.
Sareste sleali verso Sai se ritarderete nel farlo, o se lo farete in modo
sgarbato e svogliato. La vostra posizione di autorità e prestigio, la
vostra relazione con gli altri in qualità di padre, figlio, marito, moglie,
padrone o servitore, insegnante o allievo, ebbene ogni condizione
ha un proprio svadharma2, doveri e responsabilità da seguire.
La cultura bhāratīya (dell’India) vi ha attribuito grande importanza
sia nelle Scritture sia nei poemi epici.
[5] Iniziate la vostra disciplina offrendo la gioia del jīva (essere individuale)
al deva (Essere Divino), anche se il deva non ha certamente
bisogno di tale offerta. Le acque del lago non hanno bisogno che i
pesci vi nuotino, la gioia del lago non diminuisce se non ci sono pesci,
mentre questi hanno invece bisogno dell’acqua. Non fatevi sviare
dall’idea che Dio sentirebbe un vuoto se non ci fossero devoti o
persone ad adorarlo. Chi ha devozione nel cuore, sete di verità e
desiderio di resa nella mente si sentirebbe perso se non ci fosse Dio
da amare e venerare.
La fede in Dio deve tradursi in azione. È un atto di culto imperativo
svolgere i propri doveri e responsabilità con sincerità e lealtà. Sarebbe
pericoloso se un lavoro corretto non fosse svolto dalla persona
giusta al momento giusto, perciò dovete aspirare a compiere il
vostro dovere al meglio delle vostre capacità; quindi abbiate il mas-
simo rispetto di voi stessi, animati da tale atteggiamento e senso del
dovere. Salvaguardate anche l’onore e la reputazione della vostra
famiglia e dei vostri antenati.
[6] In un villaggio c’era un uomo che apparteneva a una famiglia di
lavandai che da generazioni lavavano gli indumenti di tutti gli abitanti
del paese, e quella per lui era una professione ereditaria. Nel
villaggio tutti, ricchi o poveri, gli davano i loro abiti da lavare e stirare.
Quell’uomo aveva due asini per portare gli indumenti sporchi al
fiume e per riportare il carico della biancheria pulita dal fiume alle
case dei suoi clienti; aveva anche un cane che sorvegliava gli indumenti
stesi all’aperto lungo le rive del fiume. Un giorno il lavandaio
doveva lavare numerosi sari e dhoti3 di seta per via di un matrimonio
che si sarebbe celebrato nella casa dell’uomo più ricco del villaggio;
così aveva riposto tutti gli indumenti ben lavati e stirati in
una stanza della sua casupola. Quella sera il cane e gli asini sonnecchiavano
nel cortile sul retro dell’abitazione. Il lavandaio, preso dall’ansia
di preparare con cura tutte le vesti, si era dimenticato di dare
da mangiare al cane, e il povero animale era quindi affamato e arrabbiato.
Quella stessa notte un ladro passò proprio davanti al cane
e furtivamente si intrufolò nella casupola con l’intento di rubare gli
abiti di seta, ma il cane rimase in assoluto silenzio.
Gli asini si accorsero di quel misfatto e si agitarono perché il loro
padrone veniva derubato proprio davanti ai loro occhi, così cominciarono
a ragliare sonoramente. Il lavandaio si svegliò per il gran
baccano, uscì di casa rosso in volto perché gli asini avevano disturbato
il suo sonno, afferrò un bastone e cominciò a picchiarli senza
pietà. Le povere bestie subirono tutto quel dolore perché si erano
addossate un compito che non spettava loro, non era il loro
svadharma, non era un dovere relativo alla loro condizione.
[7] L’umiltà, la pazienza, la tolleranza e la sincerità: queste sono le
virtù principali dei figli e delle figlie di Bhārat. È quindi vostro dovere
coltivare tali nobili qualità e rendere la città di Bombay, che è lo
‘stomaco’ di Bhārat, sana e pulita. Solo allora l’India sarà felice! Ecco
perché il Dharmakṣetra4, la dimora della moralità, e un dharma
stūpa, un grande monumento in onore della moralità, sono stati edificati
in primo luogo nella vostra città.

Dharmakṣetra, Bombay, 11.05.1975