Discorsi Divini
Dicembre 1963 – Un solo trono
Dicembre 1963
Discorso Divino di Bhagavan Sri Sathya Sai Baba
Un solo trono
[1] Il demone Narakāsura1 è presente in ogni uomo come lussuria, ira e cupidigia, nonché come paura e dolore, che sono contrari alla vera natura dell’uomo. Come un ombrello di qualità scadente non può proteggervi dalla pioggia se non è veramente impermeabile, così in questo mondo battuto dalle tempeste ed inondato da piogge torrenziali è necessario un ombrello a prova di desiderio e di collera. I cinque elementi (terra, acqua, fuoco, aria ed etere) non possono nuocere a chi è munito di una simile protezione. Le cinque fortezze in cui si dice che Narakāsura si sia rifugiato sono i cinque elementi. In ogni essere umano è insita una grande Energia divina non manifesta; se l’uomo palesa tale Energia, merita di essere chiamato vyakti: individuo, persona. Quando questa Energia è resa manifesta, il demone viene automaticamente distrutto. La vostra Realtà è l’Ātma, il Sé; la vostra caratteristica è la Beatitudine. Che cosa vi importa sapere se Narakāsura è stato ucciso da Krishna e Satyabhāmā? Per quanto vi riguarda, Krishna è il Sé Supremo e Satyabhāmā è il sé individuale. Il Sé Supremo distrugge le tendenze demoniache con l’attiva collaborazione del sé individuale, e l’individuo sconfigge il male con il sostegno dell’attiva Grazia del Signore.
[2] L’India è la depositaria del potere spirituale, ma attualmente quasi nessuno pratica una vita disciplinata che è l’espressione di quel potere. Attualmente milioni di persone vanno in pellegrinaggio, milioni di copie di testi sacri vengono acquistati e letti; migliaia di asceti e guru sono disseminati in tutto il Paese e ricevono l’omaggio della popolazione. Tuttavia non c’è pace nel cuore, non c’è cibo nello stomaco, né indumenti per riparare il corpo dal freddo. L’India che è il simbolo di Annapūrnā, la Dea dispensatrice di cibo, deve andare con la ciotola dell’elemosina a mendicare per i suoi figli. Questa tragedia è dovuta alla cattiva disciplina, all’assenza di autocontrollo ed a quello che si può definire mancanza del dominio di sé. Nella rappresentazione teatrale, Sathyanārāyana ha recitato la parte di Satyabhāmā, che ha ben interpretato; in ogni caso egli è sempre stato consapevole di essere Sathyanārāyana, pur avendo un ruolo diverso da interpretare. Sarebbe stato un fiasco se avesse dimenticato l’uno o l’altro dei due ruoli, Sathyanārāyana o Satyabhāmā. Analogamente, operate nel mondo ma rammentatevi del vostro vero Sé! Quando l’umanità dimentica che questa è tutta una commedia ed inizia a prenderla per vera, il Signore discende per ricordarle la Verità. Altrimenti, se si recitasse la scena di un’esecuzione capitale, le teste comincerebbero a cadere; oppure se in un lavoro teatrale la città di Lankā fosse data alle fiamme, il teatro stesso finirebbe consumato dal fuoco. Non prendete il mondo più seriamente di quanto meriti!
[3] Nel vostro cuore c’è spazio per un solo trono, ma troppi sono quelli che voi invitate a sedersi, oppure cercate di collocarvi due troni, uno per Rāma ed uno per il desiderio; se poi questo risulta difficile, invitate entrambi a stringersi e li fate sedere nell’unico sedile disponibile! Oppure vi insediate il desiderio e fate sedere Rāma più in basso, come suo subordinato! Non c’è quindi da stupirsi che Dio vi abbandoni. Fate in modo che Rāma sia la Divinità assisa sul trono del cuore ed utilizzate il desiderio come Suo servitore, così non ci sarà alcun inconveniente. Si dice che la gatta prenda il suo piccolo appena nato e lo sposti da un posto all’altro per sette volte entro pochi giorni dalla nascita, in modo che gli occhi gli si possano aprire e possa vedere. Il gattino ottiene una buona vista dopo sette trasferimenti, ma l’uomo non riesce ad avere la visione giusta – cioè che in realtà egli è il Sé infinito senza nascita né morte – neanche dopo essere passato da un grembo materno all’altro per un milione di volte! Questa è la tragedia causata dall’ignoranza e dall’indolenza.
[4] Avrete sentito la storia della liberazione dell’elefante Gajendra che, assalito ed afferrato per un zampa dal coccodrillo, aveva invocato il Signore perché venisse in suo soccorso; il Signore aveva lanciato il Suo disco Sudarshana per uccidere l’assalitore e salvare l’elefante. Questa storia ha però un significato più profondo, di rilevanza universale. L’elefante selvaggio è il sé individuale, pieno di bramosie sensuali ed accecato dall’illusione, che entra nello stagno del mondo fenomenico dove il coccodrillo dell’egoismo lo afferra per una zampa nella potente morsa della sua mandibola e lo tira giù sempre più profondamente nel pantano dell’incessante ciclo delle nascite e delle morti. L’individuo lotta a lungo da solo finché il suo orgoglio è consumato e la fiducia nei suoi poteri dissolta. Allora egli si appella al Signore abbandonandosi completamente a Lui, e cosa gli manda il Signore? ‘Sudarshana’. Segnatevi questa parola. Cosa significa? Significa ‘buona visione’, una visione benefica! Una visione corretta che contribuisce ad ottenere la gioia duratura, ovvero la visione interiore, distolta dagli oggetti dei sensi. Non appena quella visione si sviluppa, l’egoismo è distrutto e l’individuo è liberato. Vivete ed agite nel mondo, ma trattate il mondo oggettivo come il collirio da mettere negli occhi: il collirio non li acceca, bensì li rende più efficienti e più belli. Allo stesso modo, la vita terrena deve rendere il vostro sforzo spirituale più efficace e più soddisfacente per voi e per gli altri. Siate come il fiore di loto che, sebbene sia nato nel fango, s’innalza al di sopra di esso ed emerge dall’acqua, là dove splende il Sole. Per la sua sopravvivenza il loto richiede sia il fango sia l’acqua, ma ne conosce il reale valore, perciò non si lascia contaminare né dall’uno né dall’altra.
[5] Una volta un grande saggio s’imbatté in una combriccola di atei che si affollarono attorno a lui e lo assediarono con domande impertinenti, insistendo che mostrasse loro il Dio in cui credeva. Il saggio promise di farlo, ma prima chiese un po’ di latte. Gli fu portato un bicchiere di latte ed egli si sedette in silenzio per un lungo periodo, mescolando il latte con un dito. La gente si stizzì per quell’attesa e per il suo silenzio. Alcuni gli chiesero cosa intendesse fare ed egli rispose che stava solo cercando di scoprire dove fosse il burro, se sopra, in mezzo o sotto. La gente gli gridò che era ovunque, in ogni goccia di latte e che avrebbe potuto vederlo solo dopo averlo sbattuto nella zangola. Il saggio allora replicò: “Anche il Signore è immanente in ogni atomo dell’universo, ma si può percepirlo e farne esperienza solo se si eseguono gli esercizi preliminari della disciplina spirituale.” Esiste un metodo ben preciso per realizzare Dio, proprio come ne esiste uno per far affiorare il burro.
Prashānti Nilayam, dicembre 1963
da DISCORSI 1963 (Sathya Sai Speaks-Vol.III) ed.Mother Sai Publications