Discorsi Divini
6 Febbraio 1963 – Addolcire ed illuminare la vita
6 Febbraio 1963
Discorso Divino di Bhagavan Sri Sathya Sai Baba
Addolcire ed illuminare la vita
[1] Forse la festività di Rāma può avere stancato alcuni, ma è qualcosa di sempre attuale e nuovo che conferisce una dolcezza eterna al cuore col- mo d’amore per Dio. Un solo Nome divino donerà dolcezza e gioia sempre nuove ogni volta che danzerà sulla lingua. Vi devo spesso ripetere le cose dette in precedenza, perché finché la digestione non si è normalizzata si dovrà assumere il medicinale; giorno dopo giorno ci si deve lavare il viso, ed un solo pasto non segnerà la fine della storia, ma dovrete continuare a mangiare ogni giorno. Arrabbiarsi è questione di un momento ma, per ottenere la pace, per rimanere imperturbati di fronte agli alti e bassi della vita, ci vogliono anni di addestramento nel Vedānta1. Questa condizione si consoliderà solo se vi convincerete che tutte le cose materiali, che rientrano nell’ambito delle esperienze sensoriali, sono fondamentalmente inesistenti; esse sono i prodotti dell’illusione, della tendenza a vedere i molti dove esiste solo l’Uno. Voi vedete tante salme che, una dopo l’altra, procedono verso il campo- santo, ma rimanete indifferenti perché pensate di essere eterni. Di fatto lo siete, intendo però il vostro vero Sé. Come l’acqua bevuta è eliminata con la traspirazione, così il karma2 che accumulate si elimina attraverso un karma accolto volentieri. Accettate quindi sia il riso sia il pianto con uguale imperturbabilità. Come lo spazio all’interno del vaso si fonde nello spazio al di fuori del vaso, silenziosa- mente, completamente, senza traccia di separazione o di distinzione, così anche voi immergetevi nell’Universale. Questa è la vera resa, l’abbandono totale alla Volontà di Dio, la salvezza, la liberazione.
[2] Rāma viene elogiato come il figlio ideale che, incurante della propria felicità, si comporta secondo i desideri del padre. Bhīshma, però, è un esempio ancora migliore; infatti, per assecondare un capriccio di suo padre, fece un sacrificio ancor maggiore di quello di Rāma. Dasharatha mandò Rāma in esilio nella foresta per quattordici anni per tenere fede ad una promessa fatta, mentre Shāntanu3 indusse suo figlio Bhīshma a ri- nunciare al trono e ad una vita coniugale per soddisfare un desiderio sensuale del suo corpo senile. Di fatto, quello che conta non è la sotto- missione alle voglie del padre, bensì l’attenersi strettamente a Satya e Dharma (Verità e Rettitudine), e questo è il punto forte di Rāma. Dikshit ha affermato che i re devono talvolta scendere a compromessi con la giustizia e la verità, perciò generalmente discendono nelle regioni inferiori. In realtà dovrebbero percepire il regno come il loro stesso corpo e dimostrare tanto interesse nel proteggere anche le regioni più remote quanto si dimostrano solleciti nel mantenere in buona forma la loro testa o i piedi. I governanti devono sentire e risanare rapidamente la sofferenza proveniente da qualsiasi regione del regno come si curano del dolore avvertito in una qualsiasi parte del loro corpo. Simili sovrani non verran- no mai confinati nei mondi inferiori, anzi saranno tre volte benedetti. Ad esempio Janaka, il padre di Sītā, sentiva che tutto apparteneva al Signore, non a lui. Sebbene avesse un corpo e tutti gli impegni di un impero, sen- tiva di non possedere né un corpo né una famiglia.
[3] Ci vuole tutta la forza che si riesce a raccogliere per trasportare un carico in salita. Le marce e l’acceleratore devono essere ben funzionanti per fare salire un’auto su per un pendio. Il guru che vi ha educato non può fare niente per trascinarvi, può solo guidarvi. Siete voi che dovete con- trollare i sensi, cambiare il modo di vivere ed il modo di pensare. I sensi dicono: “Perché lottare? Mangia, bevi e goditi la vita finché puoi!” Mentre il guru esorta: “La morte vi piomba addosso senza preavviso; superate la paura adesso, prima che vi chiami. L’oggi è il vero amico, ieri vi ha ingan- nato e se n’è già andato, il domani è un visitatore incerto. L’oggi è l’amico più fedele, aggrappatevi saldamente ad esso.”
[4] Una volta Dharmarāja, il maggiore dei cinque fratelli Pāndava, promi- se ad uno yogi mendicante di aiutarlo ad allestire un rito sacrificale e gli disse di passare il giorno seguente. Allora suo fratello Bhīma ordinò di far rullare i tamburi e di issare le bandiere ed annunciò: “Mio fratello è sicuro di vivere fino a domani! O perlomeno è ciò che crede!” La morte segue di soppiatto i vostri passi come una tigre nella foresta; perciò, senza sprecare altro tempo, sforzatevi di eliminare l’indolenza e l’ira; restate calmi in mezzo alla tempesta, associatevi a compagnie buone e virtuose. Fate in modo che la fragranza dei pensieri divini, saturi d’amore per tutti, si elevi attorno a voi. Perché cercare di diffondere il profumo di incensi comperati al mercato? La fiamma della Conoscenza della Suprema Realtà può ridurre in cenere gli impulsi ereditati da molte nascite e da innumerevoli esperienze. Nel calore di quel crogiolo, le scorie vengono bruciate ed il metallo prezioso emerge.
[5] La disciplina spirituale richiede abitudini regolari e moderazione nel cibo, nel sonno e nell’esercizio fisico. Il digiuno indebolisce l’intelletto e riduce il potere di discriminazione. Bisogna prendersi cura in uguale misura del corpo, della mente e dello spirito. Finché non avrete ‘muscoli di ferro e nervi d’acciaio’ non potrete accogliere nella vostra testa l’idea sommamente trasformatrice del non-dualismo (Advaita4), ovvero di esse- re l’Universale stesso, la Realtà Eterna! Con una forza minore si può pensare solo in termini di servitù o di ruoli secondari. Per vedere la Verità come Verità e la menzogna come menzogna, servono chiarezza di visione e coraggio nella visione. La ‘fortezza dalle sette mura’ costituita dal senso di «io» e di «mio» e dalle sei tendenze malvagie – lussuria, collera, avidità, infatuazione, arroganza e gelosia – ha un giardino nel mezzo ed un lago in cui si diletta il cigno celeste, il quale è l’immagine del vostro vero Sé. Siatene consapevoli e sarete salvati! Voi siete venuti in questo mondo per essere ammessi alla presenza del Signore dell’universo. Pertanto non soffermatevi nelle mise- re locande lungo la strada e non scambiatele per la meta! Anche il Signore desidera ardentemente l’arrivo dei dispersi: Egli è come una mucca che si strugge per il suo vitellino.
[6] Una volta Krishna aveva un dilemma; era il compleanno di Rukminī ma era anche l’anniversario del Suo matrimonio con Satyabhāmā! En- trambe le regine lo stavano attendendo nei loro palazzi ma Krishna, con grande mortificazione dell’orgogliosa Satyabhāmā, andò da Rukminī e, dopo aver festeggiato con lei, entrò nel palazzo di Satyabhāmā. La regina si era risentita ed era in uno stato d’animo inconsolabile; per ripicca non offrì nulla a Krishna, ma Egli raccolse alcuni frutti di jambu in giardino e li mangiò, apprezzando per tutto il tempo l’impegno con cui Satyabhāmā si prendeva cura del giardino e lo straordinario gusto di ogni frutto che vi cresceva. In questo modo Satyabhāmā fu indotta a dimenticare la sensa- zione di essere stata offesa. Il Signore è dolce in ogni Sua azione, nei movimenti, nelle parole e nei gesti. Egli è pura dolcezza.
[7] Prendete ad esempio Rāma. Bairagi Shāstri ha recitato una poesia sui Piedi di Loto di Rāma che attraversavano le aree impervie piene di sassi e di spine della giungla. Kaikeyī non aveva considerato questo fatto quando aveva richiesto che Rāma fosse mandato in esilio. Se ne rese conto e rimase inorridita di quanto aveva fatto solo quando vide Rāma, Sītā e Lakshmana nell’eremitaggio e quando vide suo figlio Bhārata supplicare Rāma affinché ritornasse ad Ayodhyā per salire sul trono. In ogni caso Rāma non sentì mai alcuna spina o sasso in quanto Egli stesso aveva ideato l’esilio nella foresta, al fine di infondere fede nei saggi e stroncare i loro timori. In realtà, quale altra funzione hanno quei Piedi se non quella di tenere lontano gli ostacoli che si trovano sul sentiero dei devoti? Solo il portato- re è consapevole del peso che ha sulle spalle. La più piccola sofferenza in voi causa la stessa sofferenza anche qui. Da una settimana è arrivata un’anziana signora di Salem. Suo figlio, un giovane di venticinque anni, è demente e non può badare alle proprie necessità. La madre non sa quanto questo mi abbia colpito; infatti le chiedevo: “Tuo figlio ha preso il caffè questa mattina?” E poi la esortavo: “Ha fame, portagli del cibo e dagli da mangiare.” La sua ansia era solo un sessantaquattresimo della Mia! Voi pensate che Io presti attenzione solo a chi si siede davanti, ma Io vedo tutti e sono con tutti, ovunque essi siano. Solo coloro che sono stati benedetti lo sanno, gli altri lo ignorano. Senza combustibile non ci può essere fuoco. Senza la disciplina spirituale non ci può essere volontà o aspirazione. Versate l’olio ed accendete lo stoppino. Siete in pellegrinaggio verso il cielo, perciò non potete soffer- marvi a lungo in questa bassezza. Una volta o l’altra, prima o poi, in que- sta nascita o nella prossima, dovrete realizzare che tutto questo non è che un sogno che scambiate per vero; dovete fare i bagagli e procedere. Tutto questo è irreale; avanzate dunque verso la Realtà. Tutto questo è ignoran- za ed oscurità, è il regno della morte; procedete verso la Luce fulgida, avanzate verso il regno dell’immortalità!
[8] L’albero può sembrare secco, ma fiorirà e darà frutti, non disperate. Io lo farò germogliare, sempre che la linfa del pentimento sia ancora viva. Fate un solo passo verso di Me ed Io ne farò cento verso di voi. Versate una sola lacrima e ne asciugherò cento dai vostri occhi. Io benedico solo così! Possa la vostra Beatitudine espandersi! Quando di notte fa freddo vi avvolgete bene nella coperta, non è vero? Analogamente, quando il dolore vi assale, avvolgete il calore del Nome del Signore ben attorno alla vostra mente. Fra tutti i milioni di Indiani, voi soltanto avete acquisito questa relazione con Me grazie alla vostra buona sorte. Fate in modo che almeno germogli in voi il desiderio di essere salvati. Io mi preoccuperò che cresca e dia frutti, a condizione che voi l’agogniate e vi sforziate. Per potervi versare il nettare della grazia, il recipiente deve essere pulito; perciò pulitelo e richiedete il nettare, non doletevi in seguito per aver perso l’opportunità quando era a portata di mano. Non mi riconoscerete in un batter d’occhio e neanche dopo giorni; è qualcosa che deve essere realizzato per stadi, a tempo debito e mediante il discernimento, il distacco ed una chiara visione. È da quattro ore che siete seduti per terra ed alcuni di voi potrebbero sentirsi a disagio ed avere mal di schiena; ma quello non è dolore, anzi pregate di poter avere questa sensazione per tutta la vita, poiché avete ricevuto l’insegnamento che addolcirà ed illuminerà l’esistenza stessa.
Prashānti Nilayam, 06.02.1963
da DISCORSI 1963 (Sathya Sai Speaks-Vol.III) ed.Mother Sai Publications