[1] Lo scorso pomeriggio, quando avete ascoltato la storia dell’Avatār Krishna, i vostri cuori erano colmi di gioia ed ho notato che la felicità vi sprigionava dagli occhi; anche le vostre menti sono state purificate da quell’esperienza. L’Avatār è venuto per proteggere il mondo e rafforzare il Dharma; i testi che riportano le parole del Signore ed i grandi uomini che le conoscono dichiarano che il Signore assume forma umana per portare a compimento tali propositi. La storia di Kuchela insegna come si deve meditare su Dio, in che modo adorarlo ed onorarlo. Kuchela sapeva esattamente cosa offrirgli; al Signore interessa il sentimento che accompagna il dono e l’attitudine con cui si fa l’offerta. Egli non è impressionato dalla quantità o dal costo. Draupadī gli aveva offerto una minuscola foglia rimasta attaccata all’interno della pentola nella quale aveva cucinato il cibo, ed il Signore se ne saziò talmente che disse di essersi liberato di tutta la fame. Rukminī mise una sola foglia di basilico sul piatto della bilancia, ma poiché l’aveva saturata di devozione, quella foglia pesava tanto quanto Krishna stesso. Kuchela portò un po’ di ‘riso pestato’ che il Signore mangiò con gran gusto, compiaciuto di quell’offerta così piena di devozione.
[2] Un pezzo di carta bianca e pulita non ha valore quanto un altro pezzo di carta di uguale misura, seppure sporca o macchiata, che porti però il marchio della Banca Centrale che ne fa una banconota da cento Rupie. Il marchio della devozione rende prezioso anche un pugno di riso. Donate al Signore il frutto, l’Amore, che cresce sull’albero della vita. Sviluppate l’illuminazione dell’Amore puro, ed i pipistrelli del dolore, dell’invidia e dell’egoismo si dilegueranno nell’oscurità. Dovete tenere sempre a mente l’obiettivo di Sāyujya1, il fondervi in Dio: non abbandonatelo, non dimenticatelo mai! Siate come il fiume che scorre lentamente verso il mare. Una persona che ha acquistato un biglietto ferroviario da Madras a Calcutta non si fermerà in altre stazioni durante il viaggio, ma come obiettivo avrà sempre la sua destinazione finale. Naturalmente potrà interessarsi al paesaggio attraverso cui viaggia, potrà scendere ogni tanto per rinfrescarsi, però non cercherà certo casa in uno di quei luoghi. Durante il viaggio potrete incontrare gli stadi di Sālokya (il dimorare sempre alla presenza di Dio ed obbedire ai Suoi ordini), Sāmīpya (vicinanza al Signore, l’essere sempre nella coscienza di Dio) e Sārūpya (essere simili alla Forma del Divino), ma non siate soddisfatti di averli raggiunti, sono solo stazioni intermedie, ricordatelo. Raggiungeteli ed andate oltre!
[3] Nell’episodio di Kuchela, sua moglie svolge il ruolo più importante, infatti ha molta più devozione di lui. Le donne sono più devote degli uomini e sanno controllare meglio la mente. Il suo amore materno l’aveva spinta a mandare Kuchela da Krishna in modo che i suoi figli potessero avere un pasto completo, perché aveva fede nel Signore. Kuchela esitava ed argomentava, temeva che Krishna non lo riconoscesse o non si ricordasse di lui, oppure non lo invitasse ad entrare o non accettasse il suo omaggio. Nel Bhāgavata, Kuchela è descritto come un uomo costantemente impegnato a meditare su Dio; come si possono allora spiegare i suoi dubbi? Sua moglie l’aveva indotto a liberarsene ed a recarsi almeno fino al cancello del palazzo di Krishna. Era certa che Krishna lo avrebbe chiamato dentro se avesse fatto almeno quel piccolo passo. Naturalmente il fuoco scalda tutti, però ci si deve avvicinare, non è vero? Se invece restate lontano, non lamentatevi se il fuoco non vi riscalda. Kuchela era così nervo so che sua moglie riuscì a persuaderlo ad arrivare soltanto fino al cancello del palazzo. Quando Kuchela si decise a recarsi da Krishna, sua moglie prese un po’ di riso che aveva tenuto in serbo, solo una manciata, lo fece bollire e lo scolò bene. Dopo averlo fritto, lo schiacciò con un pestello per preparare il ‘riso pestato’ che secondo Kuchela era il cibo preferito da Krishna ai tempi della scuola, poi lo avvolse in un’estremità della veste che il marito indossava. Kuchela s’incamminò con la paura che gli cresceva ad ogni passo. Non deve esserci paura in un devoto vero: egli deve avvicinarsi al Signore come suo diritto e guadagnarsi la grazia che gli è dovuta. Il Signore elargisce la Sua misericordia a chi è angosciato ed afflitto (Ārta) ed a chi desidera la ricchezza (Arthārthi), come pure a chi ricerca la conoscenza spirituale (Jijñāsu) ed a chi ha già raggiunto la liberazione (Jñāni). Ārta è l’individuo malato e sofferente; arthārthi è l’uomo colpito dalla povertà che cerca prosperità e fortuna. Così, con immensa gioia, Krishna invitò Kuchela ad entrare e gli ricordò i giorni felici della scuola che avevano trascorso insieme ai piedi del loro guru. Kuchela era sulle spine perché voleva tenere nascosta la misera e banale offerta che era racchiusa in un’estremità della sua veste sbrindellata, ma Krishna trovò il riso e si mise a mangiarlo con grande piacere. La devozione lo aveva reso molto gustoso per il Signore.
[4] Si racconta che mentre Krishna stava prendendo il terzo boccone di quel riso, Rukminī Devi gli trattenne la mano. La ragione fornita dai commentatori è che Rukminī temeva che tutte le ricchezze del Signore potessero passare a Kuchela, se Egli avesse preso dell’altro riso! Che idea sciocca! Come se le ricchezze di Dio possano esaurirsi, come se il Signore possa preoccuparsi che i devoti gliele portino via tutte, come se la Madre dell’Universo sia avara nell’elargire i Suoi doni! Questo non potrà mai essere vero! La ragione vera che indusse Rukminī a trattenere la mano di Krishna era che anche lei pretendeva la sua parte di quell’offerta fatta da un cuore colmo di devozione. Rukminī ne voleva una porzione per sé ed era suo diritto riceverla.
[5] Kuchela lasciò la città di Dvārakā piuttosto amareggiato perché non aveva ricevuto nessun contributo né una promessa di donazione. Si rattristò nel pensare alla sua famiglia ed ai suoi figli che morivano di fame. Era talmente afflitto ed addolorato che oltrepassò la sua casa senza neppure accorgersi che questa aveva subito un grande cambiamento, e che durante la notte si era trasformata in una grandiosa magione. Sua moglie lo vide, lo chiamò e gli raccontò che all’improvviso la felicità era discesa su di loro per grazia di Krishna. La disciplina spirituale di Kuchela ebbe inizio quel giorno; fino ad allora era stato solo un ritualista che seguiva le forme esteriori dei riti prescritti dalle sacre scritture. Quando invece egli comprese che il Signore poteva trasformare la povertà in ricchezza mediante il potere dei Suoi miracoli, decise di conquistare la Sua grazia per conseguire quella gioia imperitura che non diminuisce mai, ovvero Sāyujya. Egli ottenne così Su-darshana, la visione divina, e pur rimanendo in mezzo ai tesori che ora adornavano la sua dimora, condusse una vita ascetica senza alcun attaccamento. Sapeva che tutto era un sogno: adesso la ricchezza e prima la povertà. Un imperatore sognò di essere un mendicante e pianse quando ad una porta gli fu rifiutata l’elemosina, ma esultò quando ad un’altra porta riuscì a riempirsi lo stomaco. Poi si svegliò e non era più povero; egli era un imperatore, ma persino quello era soltanto un sogno, un’illusione.
[6] Solo il Brahman è Sat, reale; la Creazione è Asat, irreale. Essere sempre in questa consapevolezza è la disciplina più elevata. Cercate la visione del Divino, rendete il vostro modo di parlare dolce e fate delle vostre buone azioni un’offerta. Questo è il triplice sentiero. Diventate dei bambini, abbandonate la presunzione e l’orgoglio. Finché siete nella regione dei guna e siete motivati dal desiderio, voi stessi dovrete cercare la Madre, ma quando sarete liberi dai vincoli dei guna, la Madre stessa si affretterà verso di voi e vi terrà fra le Sue braccia. Purificate la vostra visione, addolcite le parole e santificate le azioni: in tal modo otterrete la Liberazione.
Prashānti Nilayam, 02.09.1963