[1] Quando vi parlo non faccio discorsi: sono per lo più delle conversazioni. Desidero che voi seguiate ogni Mia parola con riverente attenzione poiché la vostra gioia è il Mio cibo, e voi potrete conseguire la beatitudine soltanto seguendo i Miei consigli; ecco perché ci tengo che ascoltiate con attenzione e prendiate a cuore tutto quello che dico: questa non è una semplice conferenza da cui trarre nuove lezioni di vita. Il Signore è una montagna d’Amore. Anche se un numero infinito di formiche portasse via particelle di dolcezza, non potrebbe mai esaurire la Sua pienezza. Egli è uno sconfinato Oceano di Misericordia e non esiste riva che lo possa delimitare. La devozione è il modo più semplice per meritare la Sua grazia ed anche per comprendere che Egli pervade ogni cosa; infatti, Dio è tutto.
[2] La resa totale, lasciare tutto alla Sua Volontà, è la più alta forma di devozione. Una volta un bramino stava guadando un fiume dove c’erano alcuni uomini che lavavano i panni. Vedendo che sulle spalle portava uno sgargiante scialle di seta, i lavandai si scagliarono contro di lui gridando che quello scialle apparteneva al Palazzo reale, che era stato consegnato loro per essere lavato, ma che poi era stato rubato e non più ritrovato. Quando cominciarono a piovergli addosso dei pesanti colpi, il povero bramino gridò: “Nārāyana, Nārāyana!” Allora Nārāyana si alzò dal Suo trono in paradiso per soccorrerlo, ma un attimo dopo tornò indietro, con grande meraviglia della Sua Consorte che gli chiese spiegazioni per quello strano comportamento. Nārāyana disse: “Volevo aiutare quel povero bramino che era finito in un covo di furfanti, ma ha cominciato a battersi restituendo colpo su colpo: perciò il Mio aiuto non è più necessario.”
[3] Quando la devozione sta spuntando come un tenero virgulto, una recinzione è indispensabile per proteggere il giovane alberello; quella protezione è il Sanātana Dharma, l’eterna Legge universale, con le sue regole, restrizioni, direttive ed ordini. Quando il frutto è acerbo non cadrà neppure se soffia un vento fortissimo, ma quando è completamente maturo cadrà a terra persino nel silenzio della notte. Un piccolo fuoco si spegnerà facendo fumo se ci metterete dentro qualche foglia verde, ma un incendio nella foresta ridurrà in cenere anche l’albero più verde che ostacoli la sua marcia furiosa!
[4] La conquista dell’ego è indispensabile. Il vitello grida nel suo orgoglio pieno d’egoismo ‘ham hai, ham hai’ – ‘io sono, io sono’; perciò appena ha pochi giorni di vita lo legate ad un palo lontano dalla madre e lo fate lavorare sino a ridurlo pelle ed ossa. L’animale tuttavia non impara la lezione dell’umiltà. Persino quando la sua pelle è tesa su un tamburo risuona con egoismo: ‘ham, ham, ham’ – ‘io, io, io’! Deve essere tagliata e tirata in corde sottili, perché il vitello mostri di aver tratto beneficio da tutte le punizioni che ha subito e mormori: ‘thum, thum, thum’ – ‘tu, tu, tu’. A quel punto, finalmente, il suo ego se n’è andato!
[5] Il servo di Dio va per le strade cantando le glorie del Signore; nella mano destra tiene due squillanti cembali: l’eterno duetto del bene e del male, della gioia e del dolore, del piacere e della sofferenza, e con la sinistra fa vibrare la tambura del Samsāra. Il Samsāra è la nota alla quale deve saper intonare i suoi canti, è l’accompagnamento musicale; perciò sia l’accompagnamento sia il ritmo hanno lo scopo di valorizzare il canto della gloria di Dio.
[6] Nella Mia incarnazione precedente, ricordo di aver detto ad un ricercatore del Mahārāshtra che ci sono tre tipi di devoti: il tipo che, a causa dell’impazienza, manca la presa e si lascia sfuggire il frutto, come un uccello che piombi sul frutto maturo di un albero; il tipo che esita e cambia la meta troppe volte, perdendo in tal modo ogni possibilità di successo, come una scimmia che prende un frutto dopo l’altro ed a causa della sua instabilità non sa decidere quale vuole. Infine c’è il tipo che avanza tenacemente e con determinazione verso il Signore, ottenendo la dolcezza della Sua grazia, come la formica che lentamente ma con costanza ricerca e si dirige verso lo zucchero.
[7] La devozione e la fede salda sono i due remi con cui potrete portare la vostra barca attraverso il mare del Samsāra. Una sera un bambino disse a sua madre prima di andare a letto: “Mamma! Svegliami quando avrò fame.” La madre rispose: “Non c’è bisogno, la fame stessa ti sveglierà.” Allo stesso modo, quando la fame per Dio si farà sentire, essa vi spronerà e vi farà cercare il cibo di cui avete bisogno. Dio vi ha dato la fame e vi fornisce il cibo; vi ha dato le malattie e vi fornisce i rimedi necessari. È vostro dovere fare in modo che vi venga la fame giusta e la malattia giusta, ed usare il cibo ed i farmaci appropriati.
[8] L’uomo deve essere legato al giogo del Samsāra e ridotto a pezzi; quello è il solo addestramento che gli insegna che il mondo è irreale. Un infinito numero di conferenze non vi convincerà di cosa sia un serpente finché non ne avrete fatto l’esperienza diretta. Toccate il fuoco ed avrete la sensazione che scotta; non c’è niente di meglio per insegnarvi che il fuoco deve essere evitato. Finché non lo toccherete, sarete consapevoli soltanto della sua luce. Di fatto, esso è sia luce sia calore; proprio come questo mondo che è vero e falso, vale a dire irreale.
[9] Attualmente prevale l’abitudine di giudicare gli altri e di etichettarli come credenti o atei. Che cosa ne sapete voi, come potete riconoscere i moti interiori della mente altrui? C’era una volta una regina assai devota di Rāma che era molto dispiaciuta che suo marito, il re, non pronunciasse mai il nome di Rāma e non mostrasse la benché minima devozione. La regina aveva quindi fatto un voto che non appena avesse avuto la prova della devozione del re o almeno del suo rispetto per il nome di Rāma, avrebbe fatto celebrare riti d’adorazione in ogni tempio ed offerto da mangiare a tutti i poveri. Una notte, mentre dormiva, il re pronunciò per tre volte il nome di Rāma con devozione. La regina lo sentì e fu felice di scoprire che suo marito era devoto a Rāma; perciò diede ordine che si facesse festa in tutto il regno e fosse distribuito cibo ai poveri. Il re non conosceva il motivo di tali festeggiamenti perché gli era stato comunicato soltanto che si stavano eseguendo gli ordini della regina. Dunque, un marito può non essere a conoscenza degli eccellenti risultati spirituali conseguiti da sua moglie.
[10] C’è anche il caso di una coppia che stava camminando attraverso una fitta foresta per recarsi in pellegrinaggio ad un santuario lontano ed inaccessibile. Lungo il sentiero il marito vide una pietra preziosa che i raggi del sole facevano luccicare in mezzo alle foglie. Con un rapido movimento del piede vi gettò sopra della sabbia, in modo che sua moglie non avesse la tentazione di raccoglierla e diventasse schiava di quell’orpello. La moglie vide il gesto e rimproverò il marito perché, nella sua mente, faceva ancora distinzione tra la sabbia ed un diamante. Per lei erano la stessa cosa.
[11] Secondo la leggenda, il re che nel sonno aveva pronunciato il sacro nome di Rāma era molto dispiaciuto di avere lasciato sfuggire di bocca il Suo nome, perché pensava che nessuno dovesse sapere del suo amore per Rāma. Ci sono molti che non amano parlare a gran voce del loro Maestro o del Nome e della Forma da loro preferiti; in ogni caso, sia che ne parliate o no, teneteli sempre fissi nella vostra coscienza. La recitazione del nome di Rāma o di qualsiasi altro nome divino deve essere costante come il respiro; per arrivare a questo, la pratica è essenziale. Una volta qualcuno disse al Dr. Johnson, il famoso pensatore inglese, che con tutte le centinaia di cose da fare dalla mattina alla sera e persino a notte inoltrata, raramente trovava il tempo di recitare il nome di Dio. Il Dr. Johnson replicò con una domanda; chiese come potessero milioni di persone trovare posto sulla faccia della terra che per due terzi è ricoperta d’acqua e per il resto è occupata da montagne, deserti, foreste, regioni artiche, fiumi, paludi e simili aree inaccessibili. Il visitatore rispose che l’uomo in qualche modo doveva lottare per trovare il proprio spazio vitale. Allo stesso modo – ribadì il Dr. Johnson – l’uomo deve trovare qualche minuto al giorno per pregare il Signore.
[12] La devozione e l’attitudine alla resa totale, che è il suo frutto finale, vi conferiranno un enorme coraggio nell’affrontare qualsiasi emergenza; un tale coraggio è ciò che si chiama rinuncia. La storia di Mohajith è un chiaro esempio del più elevato tipo di distacco. Il principe Mohajith si recò nella foresta da un saggio affinché lo guidasse nel cammino spirituale. Il saggio gli chiese se avesse conquistato gli attaccamenti, come il suo nome suggeriva. Il principe rispose che non solo lui, ma tutti i cittadini del suo regno l’avevano fatto. Allora il saggio volle verificare la veridicità di una simile asserzione. Prese i paramenti regali del principe, li intrise di sangue e si affrettò verso il palazzo reale per portare la terribile notizia dell’assassinio del principe nella giungla per mano di alcuni briganti. La damigella che gli venne incontro si rifiutò di correre verso gli appartamenti reali per portare tale notizia e disse: “Egli è nato, quindi è morto; che particolare urgenza c’è in questa notizia perché debba interrompere il mio lavoro e correre dal re e dalla regina?” Quando alla fine il saggio riuscì ad ottenere un’udienza e poté comunicare la triste notizia al padre, quest’ultimo rimase imperturbato e sussurrò fra sé: “L’uccello è volato via dall’albero sul quale si era posato per riposare.” Anche la regina rimase impassibile e disse al saggio che questa terra è come una locanda dove gli uomini arrivano, si fermano per una notte e, all’alba, uno ad uno riprendono il loro cammino. Amici e parenti sono parole da noi usate per indicare l’attaccamento verso i viaggiatori sviluppato durante quel breve incontro nella locanda. Anche la moglie del principe ‘morto’ non fu minimamente colpita ed osservò: “Marito e moglie sono come due pezzi di legno trasportati dalla corrente di un fiume in piena; per un certo tratto fluttuano uno vicino all’altro, ma se una corrente li divide, ciascuno deve procedere verso il mare secondo la propria velocità ed i propri tempi. Non c’è motivo di addolorarsi per questa separazione: è naturale che sia così.” Il saggio fu molto felice di constatare tale sincero distacco nei regnanti come nei sudditi. Egli tornò quindi nella foresta e disse al principe che, in sua assenza, un esercito nemico aveva invaso il regno ed ucciso tutti i membri della famiglia reale, occupato il regno e reso schiavi i sudditi. Il giovane principe accolse la notizia con calma e disse: “Tutto ciò è come una bolla, impermanente ed effimero. Lascialo andare come una bollicina; guidami piuttosto verso l’Infinito, l’Imperituro.”
[13] Un tale coraggio deriva solo dalla grazia del Signore e ci vogliono generazioni di apprendimento e di lotta. Nel frattempo dovete iniziare a fare il primo passo: purificate la mente e coltivate le virtù; ma se non volete iniziare così, per lo meno non deridete quelli che lo fanno e non scoraggiateli. Fate almeno questo! Non dipendete dagli altri per svolgere il vostro lavoro o per soddisfare i vostri bisogni personali. Siate autosufficienti: questa è vera libertà! Ed ancora, non accettate nulla ‘gratis’ dagli altri, ma ricambiatelo con il servizio o il lavoro. Ciò farà di voi degli individui dotati di autostima. Ricevere un favore significa legarsi al donatore. Sviluppate il rispetto di voi stessi e la dignità. Questo è il miglior servizio da rendere a sé stessi.
[14] Il Signore è il Padre di tutti, ed ogni uomo ha diritto alla sua parte di proprietà, ma per poterla ricevere dovrete raggiungere una certa età, un certo grado di intelligenza e di discriminazione. Il Signore non considererà idonei a ricevere la Sua ricchezza il malato e l’idiota. La Grazia e l’Amore sono le Sue proprietà. Se invece possedete discriminazione e rinuncia, potrete pretendere di diritto la vostra parte.
[15] Portatemi la devozione, deponetela qui e prendete da Me la forza spirituale! Più farete così e più Io sarò contento. Portate quello che avete: i vostri dolori e le vostre sofferenze, le preoccupazioni e le ansietà, e prendete da Me la gioia e la pace, il coraggio e la fiducia. Per Me non esistono giovani o vecchi fra i devoti. La madre passa più tempo ad accudire il bambino cagionevole e dirà ai figli più grandi di badare a loro stessi; imboccherà con le sue mani l’infante, ma ciò non significa che non abbia amore per i figli grandi. Allo stesso modo non pensate che se apparentemente non presto grande attenzione ad una persona, questa sia al di fuori del Mio Amore.
[16] Tenete conto anche di questo. Con il presente Avatār i malvagi non saranno distrutti, ma verranno corretti, riformati, educati e ricondotti sulla retta via da cui si sono allontanati. L’albero infestato dalle termiti non sarà tagliato, ma salvato. Inoltre il presente Avatār non sceglierà nessun altro luogo che non sia quello della Sua natività per manifestare i Suoi giochi divini, i miracoli e gli insegnamenti. Questo albero non verrà trapiantato, crescerà là dove è sorto dalla terra. C’è ancora un’altra particolarità: durante la Sua missione, l’Avatār non ha alcuna affinità o attaccamento verso i membri della famiglia in cui è apparso. Contrariamente alle manifestazioni di Rāma, Krishna, ecc., la cui vita si svolse per lo più tra i membri del nucleo familiare, il presente Avatār è unicamente per i devoti, gli aspiranti spirituali, i saggi ed i ricercatori. Egli non recita nessun mantra, non fa meditazione o yoga, né pratica riti di culto o d’adorazione, non rivolge preghiere a nessuno, poiché Egli è il Supremo. Egli insegna a voi come pregare ed adorare.
[17] Un uomo ordinario considera una persona inebriata di Dio come matta e la deriderà; al contrario, l’uomo appassionato di Dio considera folle, stolto, sviato e cieco il materialista. Di tutte le follie che tormentano l’uomo, la pazzia per Dio è la meno dannosa e la più benefica. Il mondo ha subito danni incalcolabili a causa dei suoi insani governanti e delle sue folli guide, ma dalla follia per Dio è derivata soltanto armonia, pace, fratellanza ed amore.
Prashānti Nilayam, Mahāshivarātrī 1955